L’Italia farebbe bene ad adeguarsi all’Unione europea anche sulla certificazione dello stato di malattia dei lavoratori: nei primi giorni di assenza, se si eccettua una parte del comparto privato, nel nostro paese i dipendenti sono costretti a produrre una certificazione medica. Mentre in molti paesi d’Europa questo non avviene. A ricordarlo, con una richiesta ufficiale rivolta al governo, sono il Sindacato medici italiani (Smi) e la Confederazione dei Sindacati autonomi dei lavoratori (Confsal).
“Il governo adotti provvedimenti urgenti a partire dalla possibilità per i cittadini italiani di produrre, come in altri Paesi europei, l’autocertificazione per i primi tre giorni di malattia, nell’ottica della semplificazione burocratica“, scrivono il segretario generale dello Smi Pina Onotri e il segretario generale di Confasal Angelo Raffaele Margiotta.
“Se il lavoratore ritiene che il suo malessere invalidante sia di natura passeggera – incalzano i sindacalisti – può, sotto sua responsabilità, autocertificarla. Questo provvedimento rappresenterebbe uno sgravio del lavoro per i medici di medicina generale“.
In ogni caso, precisano i due rappresentanti dei lavoratori, comunque “si lascerebbe in ogni caso all’Amministrazione di poter sempre disporre a campione la visita fiscale”, garantendo in questo modo la possibilità di verifica da parte del proprio datore di lavoro.
Per i dipendenti della scuola, tra l’altro, si tratterebbe tra l’altro di una pratica tutt’altro che frequente: un docente o Ata, infatti, in media si assente 8-9 giorni l’anno, compresi i giorni di “malattia” legati alle visite specialistiche.
Numeri ufficiali alla mano, nella scuola mediamente le assenze da giustificare con certificati medici sarebbero non più di una ogni mese e mezzo. Un numero inferiore, seppure di poco, rispetto alla media del pubblico impiego, che si attesta sui 9-10 giorni annui di assenza dovuta a motivi di salute.
Non va poi trascurato poi, come ricordato dai sindacati, che la possibilità di autocertificare una parte delle assenze per malattia, quelle legate ad eventi psico-fisici meno rilevanti, permetterebbe di sgravare non poco i medici di base.
Resta ora da capire cosa ne penseranno i datori di lavoro, ad iniziare dal ministro della PA, Renato Brunetta, artefice della tanto discussa “tassa sulla salute”, che nel corso dell’esecutivo guidato da Silvio Berlusconi ha imposto ai dipendenti pubblici un obolo (nella scuola tra i 7 e i 10 euro di media) per i primi giorni di malattia, seppure con le dovute eccezioni.
Con l’occasione, Onotri e Margiotta hanno chiesto pure che “in ogni scuola di ordine e grado s’istituisca un presidio sanitario, composto da medico scolastico, da un infermiere e uno psicologo per mettere in pratica un’efficace politica di prevenzione sanitaria e di tracciamento del contagio da coronavirus”.
“Sosteniamo il ripristino della medicina scolastica utilizzando l’apporto dei medici convenzionati per contrastare la pandemia con diagnosi precoci e tracciamento del contagio. I servizi di medicina scolastica possono rappresentare dei presidi sanitari efficaci perché direttamente presenti negli edifici scolastici e a stretto contatto con studenti, genitori e insegnanti”, concludono i sindacalisti.
Quello di reimmettere il medico scolastico è una delle richieste che ciclicamente vengono realizzate, ma che poi decadono, quasi sempre per mancanza di finanziamenti.
Se ne era parlato con insistenza anche lo scorso anno, con l’avvento e la gestione della pandemia, poiché la presenza a scuola di un medico sarebbe stata utilissima (come del resto lo sarebbe oggi) per la gestione dei casi Covid-19: in questo modo, dirigenti scolastici ed insegnanti avrebbero a disposizione un professionista in grado di interagire – per gestire anche i problemi di salute non necessariamente legati ai contagi – direttamente con le istituzioni sanitarie.
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