«Questo è il momento per investire seriamente nella scuola». Parola del “Premier” Conte (17 settembre). Peccato lo abbia detto anche altre volte in due anni di Governo.
Fatti, però, pochi: lo sa l’ex Ministro Fioramonti, dimessosi nove mesi fa per protesta contro gli scarsi finanziamenti alla Scuola.
Il 9 settembre Conte e Azzolina hanno affermato che dall’inizio del 2020 sono stati investiti sulla Scuola sette miliardi (cifra contestata da “Pagella politica”, testata specializzata in “fact-checking”, ossia verifica dei fatti). Seppure la cifra fosse corretta, sarebbe solo una parte (piccola) del necessario. Dopo 30 anni di tagli che hanno spolpato l’istruzione italiana, di miliardi ne servirebbero molti di più: almeno sei per il rinnovo del contratto (scaduto dal 2018, con stipendi pari a quelli degli “operatori ecologici”, più ricchi grazie agli straordinari); altrettanti miliardi urgono per assumere quei 200.000 docenti che eliminerebbero le classi pollaio e quei 50.000 ATA che farebbero funzionare le scuole (a fronte delle 300.000 cattedre e dei 70.000 posti ATA soppressi in 30 anni); il doppio non basterebbe per l’edilizia scolastica (per la quale nulla si è fatto durante i sei mesi di chiusura delle scuole).
Miliardi? Non per la Scuola
Di miliardi se ne spendono a decine: ma per armamenti; per lobby e banche; per le scuole private (alla faccia dell’articolo 33 comma 3 della Costituzione); per la FIAT-FCA. Basterebbe tagliare queste spese per trovare i fondi necessari, prima ancora di ricorrere agli oltre 200 miliardi del “recovery fund”. Basterebbe obbligare le multinazionali informatiche alla correttezza fiscale, piuttosto che consegnare la Scuola italiana alle loro piattaforme per la “DaD”.
Perché nulla di ciò, in due anni, è stato fatto? Non è forse è il Governo a decidere? Forse contano di più organismi internazionali, BCE, FMI, Commissione Europea, multinazionali tecnologiche, finanza internazionale (e nostrana), lobby speculative, industrie d’armi, scuole private, Confindustria e tutti quanti non sono interessati all’esistenza di una Scuola nazionale pubblica, libera, democratica, funzionante?
C’è chi dice no
Panzane da complottisti, secondo molti: strafalcioni da bocciofila, parole d’ordine di quegli arruffapopoli dei sindacati di base. Molti altri sono, però, i lavoratori della Scuola che le condividono, e che sciopereranno (e manifesteranno) il 24 e 25 agosto con UniCoBas, USB, CoBas Sardegna, CUB. Sabato 26 alle 16,00, a scuole chiuse, sindacati “maggiormente rappresentativi” e Cobas passeggeranno col comitato “Priorità alla Scuola” per una bella manifestazione di protesta, che non peserà sulle tasche dei lavoratori come lo sciopero (e, soprattutto, non disturberà troppo il manovratore di Governo) e alla quale sarà dato più spazio in TV.
Uno sciopero di cui si parla
Il tam-tam mediatico è cominciato, al solito senza spiegare a fondo le ragioni di chi sciopera, e sottolineando i terribili “disagi” per l’“utenza” danneggiata dai feroci scioperanti, assetati di disordine e indisciplina “in tempo di pandemia”. “QuiFinanza” si commuove per le famiglie «costrette a tenere i bambini a casa una settimana intera». “SkyTg24” trema al vaticinio di Giannelli, presidente ANP, secondo cui lo sciopero «Rischia di danneggiare le frange sociali più deboli. Penso alle tante famiglie in cui i genitori devono recarsi per forza a lavoro».
«Non c’è pace per la scuola italiana», lamenta “FanPage”, aggiungendo altre infauste profezie di Giannelli sul duro destino dei genitori danneggiati dagli scioperi: «Se non sanno come sistemare i figli, se non hanno chi può badare a loro, non riescono a organizzarsi. Devono assentarsi dal lavoro e non sempre è possibile». La Scuola, infatti, è prima di tutto un parcheggio per i pargoli senza babysitter, mica l’istituzione che cura l’istruzione dei cittadini.
“ItaliaOggi”: di nuovo luttuose parole sulla Scuola senza pace, di nuovo i giannelliani oracoli, e molto spazio ai Sindacati confederali che manifesteranno il 26: Gissi di CISL («L’iniziativa del 26 è solo una manifestazione non uno sciopero, chi parla di sciopero sbaglia»); Sinopoli di CGIL (il 25 settembre invece di scioperare terrà un’assemblea dei quadri); Turi di UIL Scuola.
Per chi insegna, promesse, lusinghe e fango
Intanto, il fango sui docenti abbonda. Il Messaggero cartaceo del 16 settembre strilla che nessun docente vuole insegnare ad Amatrice (paese terremotato il 24 agosto 2016): notizia smentita dal Comune (secondo RietInVetrina), perché mancherebbero proprio le nomine, e non si sarebbero presentati né il DS né il DSGA.
La Penisola che non ama gli insegnanti
I docenti, oberati da DaD, regolamenti antipandemia e calunnie varie, non ne possono più. Molti tuttavia non sciopereranno: un po’ perché quella docente è la categoria meno sindacalizzata, meno assenteista, meno “scioperata” (e anche, guarda caso, meno pagata, meno tutelata, meno rispettata); un po’ per risparmiare la trattenuta per sciopero (in nome del motto «meglio l’uovo oggi che la gallina domani»); un po’ per semplice ignavia.
Molti altri, al contrario, sciopereranno e si faranno sentire in piazza, convinti che non si può insegnare educazione civica senza prendersi le proprie responsabilità di docenti, lavoratori, cittadini.