Errare è umano (Umano, troppo umano, direbbe Nietzsche), perseverare è diabolico, proprio perché contraddice il “monos”, che è rappresentato, nel caso in esame, dalla quasi unanime condanna del mondo della scuola, non solo della più generale legge 107, detta della buona scuola, ma anche della più specifica “chiamata per competenze” dei prof da parte del dirigente.
Una stramberia dialettica
Volendo precisare meglio la stramberia dialettica, tra il dato reale: il rigetto della chiamata diretta, e quello presupposto: la sua difesa a oltranza, ritenendo i detrattori poco accorti o poco lungimiranti, crea un principio di contraddizione assai singolare.
Non riconoscere infatti, con umiltà, lo sbaglio di avere messo in opera una legge non gradita dalla gran parte dei docenti non rasserena e ancora di più fa male a non indugiare a fare autocritica, ammettendo di non avere riflettuto e di non avare tenuto conto del disagio degli operatori scolastici che la dovevano subire.
La breve polemica
La deputata Pd, e già docente, Simona Malpezzi, riprendendo una breve polemica con chi scrive, non sembra essere d’accordo, non solo nella umile ricerca dell’errore commesso dal governo Renzi, da lei sostenuto, intorno al varo della Legge 107, ma neanche nel principio dell’autocritica che consente di superare lo svarione della chiamata diretta dei prof da parte del dirigente scolastico e trovarne vulnus, cause e conseguenze.
Non pare insomma accorgersi Malpezzi che, mentre la maggioranza dei docenti indica la luna, lei (e forse il suo partito) si ostina a guardare il dito, forse perché crede che il Pd potrebbe raggiungerla con uno dei modi che Cirano de Bergerac suggeriva: “mettersi nudo e cospargere il corpo di fiale di cristallo piene di rugiada, poi esporsi al sole e farsi aspirare in cielo coi vapori del mattino”, chissà.
Solo l’Anp e Aprea
Sta di fatto che d’accordo con lei, e cioè con la “chiamata per competenze”, abbiamo individuato solo L’Anp, l’Associazione dei presidi, e la Valentina Aprea, di Forza Italia, antesignana nel proporre questa procedura: non più il docente che si sceglie la scuola ma la scuola il docente, perché il prof avrebbe sempre in serbo una furberia, una manovra nelle pieve per abbindolare l’istituzione: ergo, il personale se lo sceglie il preside, quello più d’accordo con lui, magari l’amico dell’amico, e quello più competente, anche pagandolo di più, in vista pure di fondi provenienti dal privato a cui, in cambio, occorre concedere qualcosa.
Quali competenze?
Perché il punto è anche questo: quali competenze per chiamare un docente e non un altro? Lo stabilisce il collegio, si dirà. Tuttavia, precisa l’Anp: “È bene sottolineare, in ogni caso, che la deliberazione del Collegio non può che riguardare l’espressione di un parere – sui soli requisiti – che non ha carattere vincolante per il dirigente”.
Perchè la maggioranza dei prof non la vuole?
Ma anche se la “chiamata per competenze” fosse la panacea di ogni bene per la scuola, perché mai i docenti, la stragrande maggioranza dei docenti, l’ha rigettata? E con essa tutta la legge 107, tanto che le opposizioni, anche su questo tema, hanno impiantato la campagna elettorale che ha portato il Pd alla quasi scomparsa?
Il dito, la luna e Cirano di Bergerac.
Senza ancora considerare che la grandissima parte del mondo scolastico ha invece temuto che le “competenze”, determinate competenze, si possono pure architettare a tavolino, cucirle apposta per reclutare un prescelto, che in tale guisa risulterebbe un procedimento inverso rispetto a quello prospettato o immaginato da Malpezzi, pericoloso e poco trasparente.