La vice capogruppo del Partito Democratico al Senato, Simona Malpezzi, interviene sul dibattito scaturito dopo l’articolo del nostro redattore, Pasquale Almirante, sul ruolo del Pd nella scuola e i provvedimenti messi in atto dal governo.
Pasquale Almirante su Tecnica della Scuola mi dice che sono di destra. Non è il primo e probabilmente non sarà l’ultimo, tuttavia, mi piacerebbe rispondere nel merito ad alcune osservazioni, partendo da una considerazione molto semplice.
Dobbiamo smetterla di “tirare la scuola per la giacchetta” perché non esistono provvedimenti di destra o di sinistra ma provvedimenti che fanno bene (o male) alla scuola in base agli obiettivi e agli strumenti messi in campo per realizzarli. E, forse, dovremmo anche smetterla di usare un approccio ideologico per discutere di un mondo complesso che oggi, più che mai, rappresenta la chiave per costruire un’economia forte e una crescita sostenibile.
La scuola prima della famigerata (cit.) buona scuola era stata (mal)trattata come un bancomat ma nessuno in questi anni ha avuto la decenza di ricordare quelle scelte. Anzi, molti hanno avuto il coraggio di dire che noi avevamo fatto peggio. Cosa c’è più di destra di tagliare sui saperi e la cultura? Noi abbiamo investito ma tant’è. Si potrebbe dire che chi tocca la scuola muore ma la scuola va toccata e aggiustata e rilanciata. Chiedo al signor Almirante se crede che prima del nostro arrivo il sistema di istruzione italiano fosse un eden e se oggi sia in grado di rispondere all’esigenza di un mondo che cambia. Mi domando, inoltre, se in un momento in cui la rivoluzione tecnologica e la trasformazione del mondo del lavoro, richiedono sempre maggiori competenze, la strada giusta sia quella di rinunciare all’innovazione dei percorsi scolastici e all’investimento su istruzione e formazione.
Entrando nel merito.
Parità
1. Purtroppo, questo tema è sempre stato terreno di un profondo scontro ideologico -nella società e in Parlamento. Uno scontro che ha impedito di guardare alla questione dal giusto punto di vista. Berlinguer nel 2000 con la legge 62 ha riconosciuto un principio costituzionale, inserendo giustamente le scuole paritarie nel sistema di istruzione nazionale. Non dimentichiamo, quello delle scuole paritarie è un servizio che passa dal riconoscimento della libertà di scelta per le famiglie e che la spesa fatta per l’istruzione dei figli ha un valore pubblico. E’ bene ricordare che il Sistema delle scuole paritarie è scuola a tutti gli effetti, ponendosi come obiettivo prioritario proprio l’espansione dell’offerta formativa e la conseguente generalizzazione della domanda di istruzione dall’infanzia lungo tutto l’arco della vita. Per troppi anni queste scuole sono state considerate di serie b, cioé non qualitative e, troppo spesso, “facilitatrici”. Ecco, noi abbiamo cercato di disinnescare questo approccio, affermando molto chiaramente che il sistema italiano senza le scuole paritarie sarebbe povero di qualità e di pluralismo. In questo senso credo che negli ultimi anni si sia fatto un ottimo lavoro perché insieme abbiamo perseguito la qualità e abbiamo tolto, espulso, modificato, chiuso quelle esperienze che non erano adeguate agli standard che i nostri ragazzi meritano (i diplomifici).
Parliamo di un bilancio di pochi milioni di euro a fronte di quello di miliardi destinato all’istruzione pubblica. Quale è il problema?
2. La chiamata per competenze è uno strumento utilizzato con successo nel 40% dei Paesi europei. Offre agli insegnanti la possibilità di presentare una candidatura alle scuole in base alle loro competenze e attitudini ed essere chiamati dai dirigenti. Era un’idea che andava nella direzione di migliorare la qualità dell’offerta formativa per i ragazzi, valorizzando la professionalità docente. Uno strumento per realizzare quella famosa autonomia che consente alle scuole di scegliere strade e percorsi in base al territorio dove si trovano, alla popolazione studentesca, alle esperienze dei docenti. Non siamo stati abbastanza coraggiosi.
Infine, quella della Aprea, se il gentile amico l’ha letta, era proposta radicalmente diversa dalla individuazione per competenze! Possiamo dire che forse l’obiettivo può essere assimilato ma gli strumenti assolutamente no. L’individuazione per competenze “garantisce” i docenti perché fatta sulla base di regole nazionali. La Aprea voleva la libera chiamata da albi con “regole” decise da ciascuna scuola! Se fosse stata davvero come la legge Aprea perché un governo di destra l’avrebbe dovuta cancellare?
Infine ricordo sommessamente che il legame tra il Pd e gli insegnanti si era cominciato a rompere già nel 2013.
Fu, infatti, in quella tornata elettorale che cominciò il travaso di voti dei dipendenti pubblici dal Pd al M5S su cui pesarono anche le scelte fatte dal governo Monti.
Il nostro errore successivo? Non aver coinvolto i docenti davvero nella riforma. Il loro? Non accettare ancora oggi l’urgenza di un cambiamento che metta al centro valutazione, merito e formazione permanente. E poi ci sono quelli come lei che invece di guardare la luna, vedono il dito.
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