Ha destato disorientamento la modalità adottata dalla sindaca di Roma, Virginia Raggi, di mancato svolgimento delle lezioni per due giorni consecutivi, il 29 e 30 ottobre, seguito dell’allerta meteo.
L’ordinanza è stata necessaria, ha spiegato lo stesso primo cittadino della capitale, “al fine di prevenire situazioni di pericolosità per l’incolumità di bambini e studenti, nonché per motivi attinenti alla sicurezza e alla circolazione stradale”.
Solo che a differenza di altre occasioni analoghe, prese dalle istituzioni sempre per prevenire situazioni di pericolo, la sindaca capitolina non ha dato disposizioni di tenere chiuse le scuole, ma solo di sospenderne l’attività didattica.
Anzi, nell’ordinanza si spiegava la necessità di avviare “un presidio di tutti gli edifici da parte dei dirigenti scolastici e dei funzionari dei servizi scolastici, al fine di rilevare e segnalare tempestivamente eventuali criticità”.
La decisione ha immediatamente prodotto un dubbio: come si sarebbe dovuto comportare il personale Ata, dal momento che anche la presenza di questi lavoratori nelle strade romane avrebbe rischiato di incrementare i pericoli?
Non essendo specificato nulla in merito, La Tecnica della Scuola ha associato la situazione venutasi a configurare come una vera a propria sospensione delle attività didattiche, nel corso della quale il personale Ata rimane normalmente in servizio. Mentre il corpo insegnante non fa lezione, ma è comunque impegnato in eventuali attività collegiali già programmate.
Ma non tutti gli istituti romani e i loro dirigenti scolastici si sono comportati allo stesso modo.
“Perché si è creata una confusione incredibile”, ci ha confermato Mario Rusconi, presidente Anp Lazio.
Così, alcuni dirigenti hanno lasciato a casa gli Ata, altri hanno chiesto di far venire a scuola solo una parte (una sorta di contingente minimo); altri istituti ancora, invece, hanno funzionato come se non fosse accaduto nulla, con tutti gli amministrativi, tecnici e collaboratori scolastici al loro posto.
Anche sull’opportunità di confermare o disdire eventuali riunioni collegiali dei docenti già programmate (in particolare collegi dei docenti e consigli di classe), non è stata adottata una linea uniforme.
La tendenza, comunque, è stata quella di cancellare gli incontri dei docenti a data da destinarsi.
E probabilmente è stata la decisione più logica, considerando anche i forti pericoli che il maltempo ha determinato alle persone che si trovavano in giro, soprattutto per via della caduta di centinaia di alberi in tantissime strade di Roma.
Anche l’ordinanza del Comune di Roma, del resto, faceva esplicito riferimento a “motivi attinenti alla sicurezza e alla circolazione stradale”. Motivi che allargano indistintamente anche al personale Ata la necessità di rimanere a casa. E agli stessi insegnanti, qualora fossero stati convocati per delle riunioni.
È anche vero, tuttavia, che il dirigente scolastico non può aprire e mantenere aperta una scuola in splendida solitudine: all’arrivo del preside, è indispensabile almeno che sia garantita la presenza di qualche collaboratore scolastico (per l’apertura fisica delle scuole) e di un paio di assistenti amministrativi (almeno per inviare fax, rispondere al telefono oppure assisterlo nella ricerca di eventuali documenti).
Ecco il motivo, probabilmente, che ha portato la sindaca a non citare il personale Ata nell’ordinanza: per non lasciare soli i capi d’istituto ad aprire e gestire le scuole.
E a “parlare” solo di attività didattiche, insinuando il dubbio anche sulla presenza dei docenti per le attività collegiali.
E qui arriviamo al punto dolente: per quale motivo il Comune di Roma non ha deciso di chiudere le scuole direttamente, come è stato fatto in quasi tutti i Comuni italiani nei giorni del maltempo?
La disposizione della chiusura indistinta per tutti coloro che operano nelle scuole, rientra, tra l’altro, nei poteri esclusivi del primo cittadino (alla luce del confronto con la protezione civile e altri organismi preposti).
Lo stesso, invece, non si può dire per la sospensione delle attività didattiche. La quale può essere disposta in primis dall’Ufficio scolastico regionale.
Sembra che però il direttore generale dell’Usr, il dottor Gildo De Angelis, impegnato in quei giorni a Barcellona per un progetto studentesco, non sia stato nemmeno contattato telefonicamente.
Se le cose stanno così, nel caso il Comune avesse preso la decisione in modo unilaterale, seppure per la tutela degli studenti, ecco spiegato il motivo dell’ordinanza poco chiara ai fini della gestione del personale: interfacciandosi con i dirigenti ministeriali, l’ordinanza scaturita avrebbe probabilmente fornito indicazioni più chiare.
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