Mio fratello Marco, quella sera, – racconta Francesca – era tornato dall’Università e ci eravamo seduti a cena. La mamma aveva preparato il piatto che gli era gradito. Ma lui, ad un tratto, aveva smesso di mangiare e, con la voce tremante, aveva dichiarato: – Ho una confessione da farvi. Sono omosessuale! Mia madre è scoppiata in lacrime. Mio padre si è alzato ed è uscito dalla stanza”.
La reazione di quei genitori è comprensibile. Un figlio omosessuale! Diffamazione ed emarginazione, per lui e per la famiglia. Preoccupazione per le compagnie frequentate dal ragazzo. Percezione dell’insignificanza e dell’infecondità della sua vita. Sentimenti di colpevolizzazione che ogni genitore prova in situazioni di questo tipo: in cosa “ho” sbagliato, in cosa “sono” sbagliato…
Ma quel papà e quella mamma non hanno riflettuto su una cosa. Di quanta forza interiore ha bisogno un ragazzo per rivelarsi, uscire dalla finzione, rivendicare un qualche status sociale. E, soprattutto, non hanno pensato che in quel momento il figlio cercava, se non comprensione, almeno rispetto.
Perché, ammesso che siamo responsabili dei nostri comportamenti sessuali (omo o etero che siano) non lo siamo, invece, delle nostre inclinazioni. Esse potrebbero essere di natura biologica ed ereditaria o il frutto di una evoluzione personale problematica.
In ogni caso, va tenuto presente che, nel momento in cui un adolescente prende coscienza della propria omosessualità, il senso di sgomento può essere profondissimo, quasi sempre seguito da una domanda: chi sarà la persona a cui confessarlo per prima: mamma, papà, il miglior amico? Infatti, all’inizio, prevale un senso di angoscia, una reazione di isolamento, vergogna, silenzio. La decisione di “liberarsi”, di venire allo scoperto (coming out), matura dopo, col tempo. Richiede coraggio, da parte del ragazzo, e sostegno da parte degli altri.
Riuscirà Marco a comprendere che la definizione sessuale non è qualcosa di definito una volta per tutte, ma un processo, talvolta lungo e paziente? Che certe inclinazioni sono suscettibili di riorientamento? Riusciranno i suoi genitori a mettere al primo posto la persona del figlio ed il suo autosvolgimento? Riuscirà quel nucleo familiare a far quadrato attorno ad un ragazzo bisognoso di comprensione e di dialogo, salvando la relazione e la tenuta stessa della famiglia?
È importante, a questo punto, chiarire qualcosa. È importante capire che, se maschi e femmine si nasce, uomini e donne si diventa. Ma tutto ciò comporta, da una parte, l’identificazione con modelli del proprio sesso e, dall’altra, la differenziazione con quelli del sesso opposto.
Tuttavia, nell’adolescente, l’accettazione della differenza del genere non è né scontata né improvvisa. Cresce col tempo e non sempre si acquisisce con la maturità, giacché si tratta di una conquista che richiede impegno. Ciascuno perviene alla definizione della propria identità sessuale attraverso un percorso autonomo, caratterizzato da crisi, chiusure ed eccessi, ricerca di segnali di approvazione… Una maturazione articolata in modo diverso, con periodi di ambivalenza più o meno lunghi.
Essa può essere precoce, collocata a tempo giusto, oppure rinviata oltre i trent’anni. Alcuni vivono l’adolescenza in un languore insignificante dal punto di vista emotivo, risvegliandosi a giovinezza inoltrata. Molto dipende dalla struttura psicofisica del soggetto, dalla sua storia biografica, dai suoi valori, dalle inibizioni e dalle resistenze alla crescita, dal contesto sociale e culturale.
Questo dovrebbe rassicurare sia il giovane che si sente ormai «preso» in una condizione irrevocabile. Sia i suoi genitori. Una cosa è certa. Ciascuno di noi costituisce un mistero, per un verso determinato da fattori biologici, per un altro frutto di libera autodeterminazione. È in questo senso che l’omosessualità «rimane in gran parte inspiegabile» (Catechismo Chiesa Cattolica).
Luciano Verdone
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