In questi mesi pullulano sui giornali storie, spesso edulcorate, di manager, dirigenti e professionisti che ad un certo punto della loro vita decidono di cambiarla, decidendo di cambiare lavoro e fare qualcosa di appagante, di affine con le loro inclinazioni e le loro passioni, sacrificando magari una carriera e un salario molto alto.
Spesso ciò che finiscono per fare queste persone ha a che fare con la scuola: basta pensare alle ultime due storie di cui si sono occupati La Repubblica e Il Corriere della Sera. Il primo quotidiano ha raccontato la storia di un manager del turismo toscano di sessant’anni che ha deciso di lasciare tutto e fare il collaboratore scolastico.
“La scuola un posto che pulsa di vita – spiega – prima non stavo male, ma era un lavoro di ufficio, sempre uguale. Mi mancava sempre qualcosa. Qui c’è un vulcano di umanità, un’energia di cui sono felice ogni giorno. Io questa scuola la scelgo ogni giorno”.
Ecco la differenza, secondo l’uomo, tra pubblico e privato: “Se c’era un problema si risolveva e basta. Nel pubblico è tutto un iter burocratico, c’è una catena di comando infinita, per me era fantascienza. La verità è che noi che lavoriamo nell’istruzione pubblica siamo in missione per conto di Dio, come dicono i Blues Brothers”.
“Resto affascinato dalla relazione con i ragazzi, sono fonte quotidiana di ispirazione. Sono felice. E resterò qui fino a quando potrò, fino a 67 anni”, ha aggiunto.
Il secondo quotidiano ha parlato invece di un ex ingegnere meccanico di Ferrari e Lamborghini di Modena che ha scelto di diventare insegnante di scuola superiore. “Non ho preso questa decisione per lo stipendio a fine mese – ha detto –, che rispetto agli anni precedenti nell’automotive si è più che dimezzato, ma l’ho fatto per i ragazzi, per instaurare rapporti con i giovani. La scuola ha un qualcosa in più, ha la capacità di arricchire davvero la vita”.
L’uomo ha detto che il suo è stato “un passo non semplice e a lungo ragionato”, che potrebbe “essere uno sprone anche per qualcun altro, per qualcuno che al momento potrebbe non aver avuto ancora il coraggio”.
Lo scorso anno abbiamo riportato altre due storie simili: quella della bancaria di 48 anni della provincia di Rovigo ha deciso di lasciare il suo posto fisso, vicino casa, per andare insegnare economia aziendale a 260 chilometri da casa, in provincia di Pordenone, in un’altra regione, decidendo di impiegare circa quattro ore di macchina nel tragitto casa-scuola.
Abbiamo discusso anche di una business manager di 40 anni, che viveva una vita per lei insoddisfacente fino comprendere di doverla cambiare e che ora diventerà una maestra.
Visto così il mestiere del docente viene alquanto idealizzato, come se fosse un’alternativa ai mestieri stressanti nel privato. Questo non rispecchia certo quanto invece viene affermato da molti docenti: basta pensare a una donna che ha deciso di diventare maestra e ora è delusa: “Sono tornata in Italia dopo 10 anni di lavoro in Germania. Volevo tornare per insegnare ed ero piena di speranze. Ho iniziato nel 2023, è un sogno che coltivo da sempre: ho studiato per diventare maestra e nell’aprile scorso ho deciso di inserirmi nelle liste aggiuntive delle scuole. Ho pensato che potesse essere la volta buona e così, per insegnare, ho cambiato vita: ero entusiasta di questo nuovo inizio”.
“Ma le cose non sono andate come sperato: “Adesso mi trovo con questo triste benvenuto da parte del mio Paese: la scuola statale non mi paga lo stipendio e sono precipitata in profonda difficoltà per mantenermi”.
Sembra quasi che il mestiere del docente sia visto come missione, come vocazione, e soprattutto viene dipinto come se fosse poco stressante, contribuendo ad alimentare vecchi stereotipi. Basta pensare, infine, che spesso chi cambia vita lo fa proprio perchè può farlo, perché magari ha una base economica forte e non sarà costretto a vivere dello stipendio da docente o collaboratore scolastico. Queste storie quindi dovrebbero essere analizzate con un occhio diverso dalla narrazione secondo cui “è facile cambiare vita, e fare il docente è appagante perché è una passione”.
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