La vicenda del mancato inserimento della carta del docente per i precari nella legge di conversione del decreto scuola è decisamente molto preoccupante.
E non tanto per la questione in sé, quanto piuttosto per le spiegazioni addotte dal Governo che, proprio pochi minuti prima del voto in Senato, ha dovuto ammettere che la Ragioneria generale dello Stato non aveva dato il via libera.
Analogo stop è arrivato anche per un’altra novità attesa dagli Ata internalizzati a tempo parziale che speravano in una misura che potesse garantire una integrazione allo stipendio attuale che spesso non supera neppure i 500 euro mensili.
La motivazione è stata ribadita anche dal sottosegretario Peppe De Cristofaro nel corso della diretta Facebook organizzata dalla nostra testata: la Ragioneria generale ha fatto i conti e ha stabilito che in entrambi i casi non ci sono i soldi.
Il fatto è che la cifra di cui di parla è davvero modesta: qualche decina di milioni di euro nel caso della Carta e meno di 2 milioni per gli Ata, un’inezia rispetto ai miliardi che si stanno stanziando per aiutare il Paese a uscire dalla crisi.
La vicenda è grave, anzi gravissima perché se non si riesce a trovare una manciata di milioni oggi, come sarà possibile mettere insieme le risorse indispensabili per riaprire le scuole settembre?
Si continua a parlare di fare lezione a gruppi di 8-10 alunni e di sanificazione continua dei locali e dei servizi igienici: ma per fare questo occorrono più insegnanti e più collaboratori scolastici.
Ipotizzando anche solo un aumento del 20-25% del personale, bisognerebbe calcolare una spesa non inferiore a 7-800 milioni di euro al mese: per il periodo settembre/dicembre 2020 servirebbero almeno 3 miliardi di euro.
Ma si tratterebbe di una misura minimale probabilmente anche insufficiente per affrontare i mille problemi legati alla riapertura delle scuole.
La sensazione è che il Governo non abbia ben chiaro che settembre è ormai vicinissimo e una decisione va presa non domani o dopodomani, ma oggi stesso.
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