Non si è trattato del solito sciopero. Seppure in solitudine, ma come prassi negli ultimi tempi, il 15 ottobre i Cobas hanno scelto 12 città – Roma, Napoli, Venezia, Torino, Genova, Orvieto, L’Aquila, Bari, Pisa, Cagliari, Palermo e Catania – e l’ormai famosissima Adro per manifestare nel giorno dello sciopero nazionale per l’intera giornata. In ogni località hanno espresso una motivazione particolare: a Torino, ad esempio hanno sfilato con i lavoratori della Fiat Mirafiori ed operai di altre fabbriche e lavoratori del pubblico impiego, nel quadro di uno sciopero provinciale generale; a L’Aquila “contro la gestione corrotta della ricostruzione”; ad Adro, non poteva essere altrimenti, “contro quel distruttivo leghismo che vorrebbe una scuola divisa per etnie e religioni, consegnandola a fazioni, partiti e privati”, a Bari “contro la ignobile decisione della provincia Bat, Barletta-Andria-Trani, che, scimmiottando le peggiori scuole statunitensi, introduce la pubblicità delle aziende in cambio di finanziamenti”.
Il corteo con più partecipanti e fantasia è stato quello di Roma, dove al grido ‘Gelmini dimettiti’ alcune migliaia di docenti – cui si sono uniti degli studenti partiti da Piramide facenti capo ai collettivi studenteschi di ‘Senza Tregua’ di cui una parte mascherati da “fantasmi” con le maschere bianche, ed anche associazioni dei precari e dei genitori – hanno attraverso le strade capitoline con sederi di plastica e pezzi di stoffa attaccati per rappresentare al meglio come “la scuola abbia ormai le pezze al sedere“. Momenti di tensione si sono vissuti, invece, nel corteo di Napoli, con lievi scontri tra poliziotti ed un gruppo di studenti e precari che ha tentato di sfondare un cordone organizzato dagli agenti.
Insomma, malgrado i forti dubbi della vigilia, la mobilitazione del comitato di base è sembrata aver centrato l’obiettivo di far parlare di sé e tenere alta l’attenzione sul comparto scuola ormai sfiancato da tagli e riforme al risparmio. Dal ministero dell’Istruzione si è cercato di smorzare gli entusiasmi, sottolineando le stime ufficiali dell’adesione allo sciopero pari al 3,1% rispetto al personale in servizio. Un risultato che va letto, comunque positivamente: prima di tutto perché giunge ad una sola settimana da quello indetto da Usi, Unicobas e Flc-Cgil e poi perché l’8 ottobre non si era andati oltre il 5% pur con la possibilità di astenersi dal servizio anche solo per un’ora (su indicazione del sindacato di Pantaleo) e quindi manifestare il dissenso, con conseguente disservizio, subendo una detrazione in busta paga minima.
Non ha quindi esagerato il portavoce dei Cobas, Piero Bernocchi, che ha commentato la giornata definendola “davvero importante nella lotta per difendere quel bene comune cruciale che è la scuola pubblica di tutti. Dai dati delle principali città – ha sottolineato il leader dei Cobas della Scuola – risulta che il 30% dei lavoratori hanno scioperato, fatto di grande rilievo visto che il nostro appello alle strutture sindacali per uno sciopero comune non è stato purtroppo accolto e che la responsabilità dell’iniziativa è gravata solo sulle nostre spalle. E almeno centomila manifestanti – docenti, Ata, studenti, genitori, operai e lavoratori/trici di altre categorie – sono scesi in piazza nelle manifestazioni regionali, con delle punte particolarmente alte a Torino (circa 20 mila), Roma (15 mila), Napoli (15 mila), Palermo e Cagliari (entrambe 7 mila), Pisa (6 mila)”.
Nelle manifestazioni hanno dominato le richieste di annullamento dei tagli, di assunzione stabile dei precari, di investimenti consistenti almeno ai livelli medi europei, di recupero integrale degli scatti di anzianità e dei contratti per docenti ed Ata, senza il quale ogni lavoratore perderà in media a fine carriera diverse migliaia di euro.