Intervista doppia a Maria Mantello e Roberto Gontero sulla sentenza della Cassazione sul pagamento della Tasi da parte di due scuole paritarie.
In questi giorni si è fatto un gran parlare delle sentenza della Cassazione, che ha riconosciuto legittima la richiesta del Comune di Livorno sul pagamento della tassa locale sugli immobili da parte di due scuole paritarie.
Un parere autorevole, che potrebbe essere allargato alle tante strutture, in prevalenza religiose, che formano, a costi tutto sommato contenuti per lo Stato, oltre un milione di bambini e giovani italiani. Sui perché di tante polemiche, ne abbiamo parlato con due interlocutori particolarmente vicini al mondo dell’istruzione: Roberto Gontero, presidente AgeSC, l’Associazione genitori scuole cattoliche, e Maria Mantello, presidente dell’Associazione nazionale del Libero Pensiero “Giordano Bruno” e docente ordinario di Filosofia e Storia.
Dall’intervista doppia, sono scaturiti non solo pareri diversi, potremmo dire diametralmente opposti. Ma, soprattutto, due posizioni che vanno al di là della sentenza della Cassazione. La quale, non ha fatto altro che rinfocolare una discussione che ha delle basi sicuramente più ideologiche che giuridiche.
Stavolta sembra proprio che le scuole religiose dovranno pagare allo Stato le imposte sugli immobili. Sono giorni che non si parla d’altro: perché questo tema crea così tanto clamore?
GONTERO – Purtroppo si tratta di uno strano equivoco, neanche troppo casuale. La Cassazione, comunque, non ha obbligato le scuole a pagare, ma ha solo rinviato al tribunale di Firenze perché approfondisca il carattere no profit delle due scuole livornesi. Spetta a quest’ultime dimostrare, “oggettivamente”, la natura non commerciale della loro opera. Scuole, tra l’altro, che hanno sempre agito con correttezza, come dimostra il fatto che il giudice di secondo grado aveva dato loro ragione.
MANTELLO – Da tempo gli italiani si chiedono per quale ragione la Chiesa non debba pagare l’imposta sui suoi immobili destinati ad attività commerciali: alberghi, ristoranti, case di cura, agenzie turistiche, scuole… E ben sanno del giochetto di far rientrare in qualche modo queste proprietà tra i luoghi di culto per evadere l’Ici-Imu. E anche la Chiesa sa che gli italiani sanno. Ecco, allora, che di fronte alla sentenza che lei cita, la crociata questa volta la si sta giocando sulla parolina “paritarie”, per distrarre dal fatto che le scuole cattoliche sono comunque enti privati che erogano ai propri clienti-studenti un servizio a pagamento. La Cassazione ha semplicemente chiarito questo. Pretestuose, strumentali, ideologiche appaiono allora le polemiche dei clericali… in tonaca e senza tonaca.
Chi è contrario alla sentenza, parla anche di discriminazione di trattamento rispetto alle scuole pubbliche: non si sta esagerando?
MANTELLO – L’aver definito le scuole cattoliche “paritarie” non è assolutamente l’equiparazione giuridica di queste alle scuole statali. Pubbliche sono le statali. La definizione “paritarie” è stato un espediente per cercare di far gravare su tutti i cittadini dello stato italiano i costi di strutture educative private, cattoliche nella stragrande maggioranza dei casi, la cui ideologia quindi contrasta con lo scopo affidato dalla Costituzione alla scuola pubblica di sviluppare cittadini autonomi e liberi. L’unica scuola libera, perché laica, plurale antifideista è la scuola statale. La scuola confessionale non può garantire niente di tutto questo, perché ha l’obiettivo prioritario di formare credenti. Questo obiettivo prioritario oggi lo chiamano “educazione integrale della persona”. La discriminazione è qui.
GONTERO – Quando il tema riguarda la Scuola non statale, in Italia si esagera sempre. La discriminazione vera la subiscono le scuole no-profit, che sono vessate sotto molti profili: sono pubbliche, secondo la Costituzione e la Legge 62/2000, ma vengono trattate come private. Svolgono un servizio pubblico, aperte a tutti come da disposizioni di Legge, ma che non viene riconosciuto per tale e tacciato di scarsa qualità. Niente di più falso. Sono valutate da un milione di famiglie ogni anno e scelte nonostante gli scarsi contributi le obblighino a chiedere una retta. Quale genitore le sceglierebbe, pagando due volte, se non fossero Istituti di qualità. E sta proprio qui il nodo: la paura terribile delle statali di essere messe a confronto e valutate. Si è visto cosa è successo per il disegno di legge ‘La Buona Scuola’, quando si è parlato di valutazione.
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È anche vero che se la legge diventerà attuativa, tante scuole paritarie e religiose, rischieranno di chiudere. Ed economicamente per lo Stato sarebbe un danno, perché dovrebbe farsi carico di spese aggiuntive non indifferenti.
GONTERO – La Legge prevede che le scuole che svolgono un servizio di istruzione non devono pagare le tasse sugli immobili. Sulle altre attività commerciali, annesse nello stesso fabbricato, sì. Ma se dovessero chiudere (ed il motivo può quindi essere solo ideologico) abbiamo come A.Ge.S.C. stimato già negli anni scorsi una maggior spese dello Stato di oltre 6 miliardi di euro l’anno. Tanto è il risparmio prodotto dalle famiglie che scelgono le paritarie. Quindi, la loro chiusura sarebbe un danno enorme, forse neanche sopportabile, per lo Stato ed una beffa atroce per i nostri figli. E questo succede solo per motivi ideologici, ormai anacronistici. Solo in Italia succede questo. Neanche più nei Paesi del blocco ex sovietico.
MANTELLO – Lo Stato applichi la Costituzione repubblicana, che lo vincola ad istituire proprie scuole per ogni ordine e grado. I privati, recita sempre la nostra Costituzione, possono istituire loro scuole, ma senza oneri per lo Stato. È l’articolo 33, che con quel “senza oneri per lo Stato” esclude ogni sovvenzione pubblica a qualunque titolo. Buoni ed esenzioni sono quindi illegittimi. Lo stato risparmierebbe finanziando le private? Falso, ed è un tormentone che sentiamo ripetere quando si tratta di scuola d’infanzia, dove le strutture statali sono di proposito latitanti per favorire le private. Ma quando c’è un asilo comunale, quegli stessi genitori scelgono la scuola pubblica. Ed è scandaloso che in comuni come quello di Bibiana, lo scorso anno addirittura si sia rischiato di non far aprire la scuola d’infanzia pubblica perché la paritaria “San Marcellino” altrimenti perdeva iscritti. Ed è davvero indecente che addirittura quel Comune alla fine abbia aperto la sua scuola pubblica dopo trattativa con la scuola confessionale. Siamo arrivati alla discriminazione delle scuole pubbliche?
A meno che i responsabili delle 13mila strutture paritarie e religiose italiane riescano a reperire i soldi per l’Ici. Ad esempio aumentando la retta di frequenza degli studenti: con qualche decina di euro in più al mese da chiedere alle famiglie, le scuole non andrebbero ad intaccare il loro budget. È una strada percorribile?
MANTELLO – La questione va posta nei termini costituzionali e non di uno Stato–balia delle scuole non statali. Allora, riportiamola nei retti binari, anche logici: chi frequenta una scuola privata, faccia pure, ma se la paghi. Il problema non è certo della collettività, ma del privato cittadino e del privato ente gestore.
GONTERO – Direi proprio di no. Le famiglie pagano già tasse. E voglio ricordare che le politiche di sostegno alle famiglie con figli in Italia, praticamente non esistono, al contrario degli altri Paesi Europei. E a queste tasse, molto alte, si aggiungono i costi aggiuntivi che anche nella scuola statale sono incomprensibili per un servizio strategico e fondamentale come l’istruzione. Tocca allo Stato, visti i risparmi appena elencati, decidere di sostenere la seconda gamba del comparto Istruzione. Ed invece, ogni anno diminuisce i contributi alle paritarie: nel 2000 erano 530 milioni, nel 2014 sono diventati 471. A fronte di 6 miliardi di risparmio. Ma i conti in Parlamento li sanno fare? Qui si garantisce ad oltranza chi spreca i soldi. E si negano a chi fa bene il proprio dovere. E sono soldi pubblici. Mi stupisco dell’intero Movimento 5 stelle, che non riesce a capirlo. Ma vedo che non sono gli unici.
Gira che ti rigira, tutto continua a ruotare attorno al terzo comma dell’articolo 33 della Costituzione: “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”. Non sarebbe giunto il momento di fare chiarezza su questo punto?
GONTERO – La chiarezza c’è ed è stata documentata da ministri e costituzionalisti. Altrimenti, non ci sarebbe da 15 anni la legge 62 Berlinguer del 2000. La chiarezza sancisce che lo Stato non è obbligato a dare contributi agli istituti non statali. Ma, se riconosce che il servizio svolto dalle scuole paritarie rispetta gli standard voluti dalla norme Italiane, può contribuire con i soldi pubblici. Gli studenti delle paritarie hanno diritto ad un trattamento equipollente. È ora di finirla, lo dico chiedendo a tutti un sussulto di responsabilità e onestà intellettuale, con questa assurda diatriba, che danneggia tutti gli studenti della scuola italiana. La libertà di educazione ovunque nel mondo è sinonimo di qualità e giustizia.
MANTELLO – Senza oneri per lo stato significa solo e soltanto senza oneri per lo stato. Più chiaro di così! Comunque il pasticcio è stato innestato dal“sistema paritario integrato”, la Legge 62/2000, parto della vivace mente dell’allora ministro dell’Istruzione Luigi Berlinguer, che trasformava le scuole private, da istituzioni a cui la nostra Costituzione riconosceva la parità nel rilasciare titoli di studio equipollenti, ad erogatrici paritarie di un servizio pubblico. Ma l’equivoco sta proprio nel fatto che erogare un servizio pubblico non significa diventare enti pubblici: su questo equivoco si continua a giocare, per far sì che lo Stato si accolli tutti i costi di enti gestiti da privati. Un gran “bel” risparmio! Sarebbe l’affermazione del disegno clericale della “sussidiarietà”, che riduce lo Stato a semplice erogatore di fondi a scuole private.
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