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Mao? Chi era costui. La Cina dimentica la “Rivoluzione culturale”?

Il 16 maggio cade il 50esimo anniversario dell’inizio della Rivoluzione culturale in Cina.

Era il 16 maggio 1966 quando l’ormai anziano leader Mao Zedong, che non aveva condiviso la destalinizzazione del mondo comunista voluta dal leader sovietico Nikita Krusciov, lanciò una “circolare” nella quale denunciava l’infiltrazione del Partito comunista di elementi revisionisti controrivoluzionari i quali volevano creare un regime borghese. Passarono pochi giorni e la stampa ufficiale lanciò l’ordine di colpire le antiche abitudini della società cinese.

Fu una chiamata alle armi per i giovani che costituirono unità di “Guardie rosse in scuole e università per aggredire i “quattro vecchiumi”: la vecchie idee, i vecchi costumi, le vecchie abitudini e la vecchia cultura. Partirono aggressioni e violenze. Scuole, chiese, templi e molti centri di cultura furono chiusi. Bande di giovani vestiti “alla Mao”, tutti sistematicamente in possesso del “Libretto rosso” coi pensieri del Grande Timoniere, cominciarono ad attaccare gli elementi borghesi nelle città.

 

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La “Grande rivoluzione proletaria culturale”, come fu chiamata, fu un colpo di coda di Mao che, con l’aiuto di altri alti esponenti del partito come Lin Biao, cercò di riprendere l’abbrivio nella feroce lotta di potere interna al partito di quegli anni.

Fiorirono in Occidente gruppi maoisti spesso in diretta concorrenza con i movimenti filosovietici e comunisti tradizionali, molto attivi nei movimenti studenteschi giovanili attorno al 1968. In Italia una sigla conosciuta era “Servire il popolo”.

Nel 1969 lo stesso Mao aveva ormai capito che la Rivoluzione culturale si era trasformata in un “terrore rosso” ed era ormai fuori controllo. Fece leva sull’Esercito di liberazione popolare per calmare gli spiriti bollenti delle Guardie rosse, instaurando di fatto un regime autoritario di stampo militare. Milioni di giovani cittadini furono spediti nella profonda Cina rurale per “rieducarsi”, mentre il leader trasformava il paese in una specie di dittatura.

La situazione tornò così a una relativa quiete, anche se la Rivoluzione culturale viene considerata chiusa solo nel 1976, un decennio dopo il suo inizio, alla morte del Grande Timoniere.

Solo allora il Partito poté ristabilire appieno la sua autorità, addossando le colpe del decennio precedente alla cosiddetta “Banda dei quattro” (la vedova di Mao Jiang Qing, Zhang Chunqiao, Yao Wenyuan e Wang Hongwen), che fu processata e condannata, salvando la faccia Grande Timoniere. Al potere ritornarono gli elementi contro i quali Mao aveva agito. Tra questi Deng Xiaoping, che era stato epurato, e che rientrò dal confino con la forza di avviare quel processo di riforma di stampo capitalistico (“col volto cinese”) dal quale è nata la Cina contemporanea.

Pasquale Almirante

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