Inserite nei libri in maniera discreta e silenziosa, quasi ad offrire un possibile e non indispensabile aiuto al docente e al discente, col passar del tempo le presunte taumaturgiche ‘mappe concettuali’ sono diventate il cardine, il perno, il punto di riferimento, la struttura principale su cui basare l’azione didattica e educativa, uno strumento imprescindibile, sia per il professore che (soprattutto) per l’allievo. Del resto ce ne accorgiamo tutti.
Ormai i libri di testo sono ‘infarciti’ di ‘modellini grafici’, disegni colorati, immagini variopinte, riassuntini minimi e mappe concettuali che, da semplici opportunità per capire meglio il manuale, sono diventate il ‘testo ufficiale’ su cui studiare, tanto che le molteplici, canoniche e tradizionali pagine scritte risultano ora, quasi superflue o, comunque, non strettamente necessarie, ‘scalzate’ (degnamente?) da sequenze di schemini dalle accese tonalità. Era naturale quindi che s’avviassero veri e propri corsi (ben organizzati e disciplinati) per gli insegnanti volti ad ‘insegnare’ loro a creare, anche attraverso l’ausilio dell’intelligenza artificiale, mappe concettuali ‘interattive’ (e percorsi multimediali) utili per facilitare l’apprendimento e catturare l’attenzione degli studenti (catturare l’attenzione di ragazzi indifferenti, una sfida continua, oggi ancora più difficile da vincere con molti ragazzi sempre più indifferenti e ‘delicati’).
Non possiamo dunque che prendere atto di questa evoluzione metodologica, peraltro non priva di vantaggi e positività, ma, con voce sommessa umile e bisbigliata, invitiamo tutti gli educatori ad avvalersi della tecnologia in modo ‘intelligente’ e a non dismettere né rottamare pratiche formative tradizionali, anzi, cercare di tenerle sempre vive, di integrarle col progresso o, in alcuni casi, di proporle in alternativa al ‘nuovo che avanza’.
Possiamo provare a farlo proprio nella gestione delle mappe concettuali. Un tempo, tanto tempo fa, quando i libri di scuola avevano solo ‘caratteri tipografici’ che riempivano le pagine di precise presentazioni, minuziose descrizioni, ampi commenti, acuti e complessi ragionamenti, approfondite argomentazioni, profonde riflessioni e tracce di meditazione (tutto scritto, senza alcun schema, le poche immagini nei libri d’arte erano poi in bianco e nero), gli schemi o le mappe concettuali erano delineate dal professore, a voce o sulla lavagna, alla fine della spiegazione o della lettura in classe di un testo, per chiarire agli allievi i punti più rilevanti di quanto letto o spiegato.
Oppure, rapidi e schematici schizzi riassuntivi erano delineati dagli allievi sui loro quaderni o, e questo era molto utile per un apprendimento non superficiale ed epidermico (che presto evapora), l’alunno, a casa, dopo aver letto le varie pagine (spesso fitte fitte) del manuale e averle correttamente comprese (anche grazie alla spiegazione mattutina del professore), cercava di sintetizzare quanto appreso attraverso l’elaborazione personale e autonoma di schemi riassuntivi (chiamiamoli ‘mappe concettuali).
Durante un’eventuale interrogazione, poi, questi schemi riassuntivi da lui creati e fissati mentalmente, venivano dispiegati, ‘allargati’ e ampliati in un discorso ben articolato, chiaro, ampio, corretto ed esaustivo (non sempre ovviamente il procedimento riusciva così bene).
Insomma era l’allievo che, per fissare, far propri e comprendere a fondo pensieri, inferenze e definizioni, si preparava e memorizzava con intelligenza, a casa, notazioni essenziali, mappe concettuali, parole chiave che, in classe, venivano aperte e sviscerate in una dissertazione completa, compiuta e ariosa atta a riprendere e ‘riscrivere’ (in modo anche soggettivo, magari anche critico) le varie pagine lette, studiate e concettualmente ben comprese a casa. La presenza (l’invasione) di mappe concettuali nei libri di testo, nei tablet, nelle lim o in altri strumenti didattici ha un suo indubbio valore formativo che non mettiamo assolutamente in discussione non esente, però, da rischi. Offrire o imporre uno studio basato solo (o in gran parte) su schemi e mappe, potrebbe depotenziare gli alunni di immaginazione e creatività, assuefarli ad accettare, in modo rassegnato e acritico, percorsi riassuntivi dettati da altri, ridurre la loro autonomia di pensiero, renderli meno pronti e attrezzati (mentalmente, fisicamente e psicologicamente) alla fatica, al sudore e alla ‘sofferenza’ dello studio, illuderli che si possa capire alla perfezione ogni cosa senza troppi sforzi (un apprendimento naturale e senza alcun minimo stress) e farli regredire (non tutti certo, solo i più deboli o i meno interessati) ad un abilità espositiva essenziale, minimalista, scheletrica, laconica, poco comprensibile e incompleta (si avverte la minaccia di una caduta comunicativa in linguaggi scarnificati, fatti di suoni codificati, aridi, secchi, frammentati, forse anche deconcettualizzati).
E questo non sarebbe bene, perché la padronanza della parola, nelle sue immense potenzialità, riveste un ruolo ancora importante anche (o particolarmente) in questa società di immagini o di affascinanti (ma spesso vuoti o ingannevoli) slogan pubblicitari.
Recuperiamo e rinnoviamo allora il passato (e non solo per le mappe concettuali) e manteniamo una ‘robusta’ comunicazione verbale e concettuale! Non possiamo cancellare totalmente metodi educativi ‘antichi’ (ma validissimi) che hanno formato (spesso anche con successo) le generazioni dei nostri padri, se mai cercare di coniugarli, inserirli, tenerli insieme con quanto ci propone il mondo moderno e arrivare, per quanto possibile, all’innovazione nella continuità.
Andrea Ceriani
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