Donne Hazara che chiedono si fermi il genocidio del loro popolo; ragazze iraniane che supplicano si fermi la repressione nei confronti delle loro coetanee; scout con i loro fazzolettoni sgargianti; il popolo della comunità di Sant’Egidio con centinaia di bandiere con la colomba con l’ulivo; i sindacati, le Acli, l’Arci, la comunità Giovanni XXIII di Rimini; Libera. Emergency, le moltissime Ong impegnate nella politica di cooperazione e sviluppo.
E poi suore, sacerdoti, studenti, docenti, famiglie, ragazzi e ragazze, bambini e bambine, gruppi di solidarietà, gruppi femministi, associazioni in difesa dei diritti, la rete delle Università di Pace con il testa il centro dei diritti umani di Padova e il variegato, coloratissimo e plurale popolo di della pace.
Un popolo più propenso alla preoccupazione che alla giocosa allegria frutto dell’incontrarsi in oltre 100.000 lungo via Cavour, via Merulana e poi in Piazza San Giovanni in Laterano dove dall’immenso palco si sono susseguite le testimonianze gli appelli.
Più volte sono aleggiate le parole di don Tonino Bello e fortissima si è sentita la posizione di papa Francesco richiamato da tutti coloro che dal palco hanno reso esplicito il senso della manifestazione e la richiesta di pace che saliva dalla piazza.
Negli ultimi interventi il mondo della scuola e della cultura sono tornate spesso sia nelle parole di Flavio Lotti che in quelle, ad esempio, di don Ciotti, fondatore di Libera, che ha reiterato la richiesta di riconoscere la cittadinanza italiana ai ragazzi e alle ragazze nati in Italia e che hanno frequentato o stanno frequentando la scuola nel nostro paese (jus culturae).
Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant’Egidio, sottolinea il fatto che chi oggi era in piazza non può essere certo accusato, come alcuni commentatori e politici hanno fanno nei mesi e nelle settimane scorse, di tradimento. “Oggi, ha detto, siamo qui proprio perché conosciamo i popoli che soffrono la guerra. Abbiamo visto in azione in Siria la Russia che ha fatto le prove della guerra contro l’Ucraina. Sappiamo che le guerre non finiscono mai, vengono dimenticate ma non per questo la loro scia di morte viene meno. Ed è per questo che siamo qui, perché non vogliamo per l’Ucraina un simile futuro, perché sappiamo che la pace e solo la pace è la base di ogni vera politica degna di questo nome.
Landini, segretario nazionale della Cgil, ha chiuso la manifestazione ribadendo che il plurale e ricchissimo popolo della pace di Piazza San Giovanni è neutrale ma è schierato per la pace. E, riprendendo il messaggio di Papa Francesco ricorda a tutti che “questo è il tempo della politica, chiamata a realizzare la Costituzione Italiana e a cancellare la guerra come strumento di relazione internazionale. Noi non siamo equidistanti, ha continuato Landini, siamo qui ad affermare il diritto del popolo ucraino alla pace. E siamo qui come lavoratori che già stanno pagando le conseguenze della guerra che come sempre arricchisce una parte e ne impoverisce un’altra. Noi siamo i veri realisti perché abbiamo a cuore il futuro del mondo e dell’umanità e per questo chiediamo di eliminare le armi nucleari e di aderire al trattato Onu sulla proibizione delle armi nucleari, di ridurre e superare investimenti in armamenti, di ripensare il nostro modello di sviluppo e di produzione sta mettendo a rischio l’esistenza stessa del Pianeta. Dobbiamo usare l’intelligenza non per profitto ed il mercato ma per investire in sanità, conoscenza, formazione e scuola”.
E così, in chiusura, mentre stanno per partire la note di Bella Ciao e il popolo della pace si prepara a ballare sui ritmi di Manu Chao, lo spazio cognitivo e della cultura, il luoghi della formazione e dell’interazione educativa fanno nuovamente capolino a ricordare tutti che il nuovo nome della pace è la cura e che la pace si insegna e si impara.
Una scommessa sul presente e sul futuro dell’umanità.
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