Mare Fuori è una delle serie TV più viste negli ultimi tempi. La terza stagione, in onda proprio in questi giorni, ha fatto registrare a Raiplay il record di visualizzazioni, 8 milioni in 24 ore.
Dato l’alto numero di visualizzazioni e utenti che la seguono, è possibile tracciare il filo conduttore di questo appassionante coinvolgimento. La storia è quella di alcuni adolescenti che vivono nell’IPM (Istituto di Pena Minorile) di Napoli. Si tratta di una struttura che sta a picco sul mare e ospita settanta detenuti: 50 maschi e 20 femmine, tutti minorenni. La serie racconta le storie di questi ragazzi, del perché si trovano ad affrontare questo percorso di crescita e di come siano rimasti coinvolti (per scelta o per sbaglio) nella criminalità organizzata. Attorno a questi personaggi ruotano le figure imponenti degli adulti, la direttrice (Carolina Crescentini), il comandante di polizia penitenziaria (Carmine Recano), gli educatori, il cuoco, il barbiere e tutti i protagonisti che ogni giorno provano ad aprire uno spiraglio sul futuro di questi minori, un futuro diverso da quello che sono convinti sia il loro.
La serie è composta da tre stagioni e i personaggi parlano nella maggior parte del tempo in napoletano, rappresentando in pieno le proprie origini. Tra litigi, omicidi, minacce, fughe ed esami di scuola i giovani attori provano a interpretare uno spaccato della vita dei quartieri difficili di Napoli, quasi un mondo a sé fatto di povertà e degrado, dove gli adolescenti preferiscono non andare a scuola e unirsi alla criminalità, dove non c’è futuro se non quello sporco fatto di affari e giri loschi basati su sentimenti di vendetta e rabbia.
Nonostante quella di Mare Fuori sia una realtà trasformata per il mondo televisivo e, ovviamente anche l’istituto è stereotipato, quello che emerge è uno dei problemi più gravi di Napoli e della Campania, la dispersione scolastica.
Secondo i dati Censis, la dispersione si concentra nel primo anno, con una percentuale del 16,1% a Napoli. Il 29,9% degli studenti degli istituti superiori, infatti, non riesce a conseguire il diploma. A Napoli sono il 35% e ancor di più negli istituti tecnici, d’arte e professionali. A tal proposito, Bruna Fiola, la presidente della Commissione Istruzione e Cultura, Ricerca scientifica e Politiche sociali della Regione Campania, ha dichiarato di recente: “Il sistema scolastico della Campania va potenziato perché è uno degli strumenti fondamentali per contrastare i fenomeni di maltrattamenti sui minori e i fenomeni di devianza giovanile che, purtroppo vedono la nostra regione particolarmente colpita. In questa ottica, la decisione del Governo centrale di procedere al dimensionamento scolastico in Campania è un grave errore e, se attuata, provocherebbe ulteriori danni alla condizione dei bambini e degli adolescenti campani”.
E ha continuato: “Bene ha fatto il presidente De Luca ad annunciare il ricorso alla Corte Costituzionale contro la decisione del Governo sul dimensionamento scolastico e spero che questa importante decisione apra il varco affinché la scuola venga considerata nella sua reale importanza, soprattutto in territori colpiti da forte dispersione scolastica come la Campania, ovvero come luogo fondamentale per la crescita dei minori anche nell’ottica della loro protezione da contesti familiari e sociali problematici”.
Quello dell’insegnante è uno dei mestieri più difficili non solo per la mole di lavoro, negli ultimi anni peggiorato con straordinari legati alla burocrazia scolastica, ma anche per il forte impatto che un professore ha sulla vita dei giovani studenti. La difficoltà di insegnamento è ancora più elevata soprattutto nei quartieri delicati delle città, in cui la realtà in cui versano diverse famiglie si avvicina di molto a quella descritta nella serie Mare Fuori. Tantissime sono le testimonianze di docenti che nella loro carriera lavorativa hanno sperimentato e toccato con mano la fragilità emotiva di giovani minorenni deviati da un circolo vizioso fatto di criminalità e orrore. E il ruolo di un insegnante in questo contesto assume un valore ancora più importante, perché permette di aiutare chi sta dall’altra parte della cattedra ad avere un’altra visione della vita in cui è possibile lavorare in maniera pulita e costruirsi un futuro diverso da quello a cui pensano di essere destinati.
Quando si parla di “vocazione” non tutti i docenti sono d’accordo e, anzi, alcuni la vedono come se si volesse sminuire il proprio lavoro, facendolo passare come un percorso di “volontariato”. Ma in certi contesti, la forte inclinazione al proprio ruolo e la passione con il quale si svolge, può permettere di raggiungere risultati che vanno oltre le cifre dei bocciati/promossi, risultati che potrebbero davvero cambiare la vita a qualcuno.
Uno degli obiettivi del Pnrr, oltre al rinnovamento dell’edilizia scolastica e della didattica in generale è proprio il contrasto della dispersione scolastica. Molto può quindi essere fatto nelle scuole e i protagonisti di questa trasformazione in atto sono sicuramente docenti e dirigenti scolastici. Le risorse offerte dal Piano sono pari a 1,5 miliardi di euro.
Per sostenere il contrasto dell’abbandono scolastico, all’interno di ciascuna istituzione scolastica che è beneficiaria dei fondi del Pnrr, nell’ambito dell’autonomia di ciascuna scuola, è prevista la costituzione di un team per la prevenzione della dispersione scolastica composto da docenti e tutor esperti interni e/o esterni. Il team, partendo da un’analisi di contesto, supporta la scuola nell’individuazione delle studentesse e degli studenti a maggior rischio di abbandono o che abbiano già abbandonato la scuola e nella mappatura dei loro fabbisogni.
Gli elementi che entrano in gioco per costruire proposte didattiche anti dispersione scolastica sono:
Su questi argomenti il corso Dispersione scolastica: percorsi per prevenire e contrastare il disagio scuola (Pnrr 1.4), a cura di Giovanni Morello, in programma dal 6 febbraio.
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