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Maria Montessori e l’attivismo pedagogico

Sebbene siano passati diversi decenni da quando Maria Montessori ha proposto la sua idea di didattica e del fare scuola, oggi, quell’idea risulta ancora centrale e imprescindibile per la realizzazione di una pedagogia del fare.

Ma facciamo un passo indietro! Prima che sul panorama pedagogico italiano si affacciasse l’idea di una scuola del fare, ovvero l’idea di una scuola attiva, in Italia, l’istruzione era prerogativa esclusiva di pochi ceti sociali, incentrata soprattutto sui contenuti, sui libri, sulla disciplina, sulla figura del docente e poco su quella del discente.

Era diffuso l’analfabetismo e gli alunni disabili erano tagliati fuori da ogni possibilità di crescita formativa.

Soltanto con l’avvento dell’attivismo pedagogico dello statunitense John Dewey e, in Italia, di Maria Montessori e di altri pedagogisti, si è iniziato a dare centralità e importanza all’alunno, alla sua creatività e ai suoi bisogni formativi, articolando proposte didattiche ed educative costruite sul movimento, sull’azione, sul fare, sull’esperienza psico sensoriale, riconoscendo gli alunni stessi come primi fattori del proprio processo educativo.

La scuola attiva ha rappresentato per certi versi la prima forma di inclusione sociale. In essa, ciascuno era libero di esprimersi nella totalità o in parti del sapere per le quali si mostrava maggiore attitudine. L’alunno era fautore del proprio percorso didattico, in cui l’errore e la correzione non erano visti come atti sanzionatori, ma come opportunità di miglioramento e di crescita. Il docente, invece, era colui che assecondava il processo di apprendimento dell’alunno, senza mai sostituirsi a lui. Inoltre, molteplici sono state le metodologie didattiche messe in atto e l’utilizzo di particolari materiali o arredi scientificamente strutturati, tutti “made in Italy”, che, al giorno d’oggi, vediamo riproporre all’interno delle aule didattiche sotto altre denominazioni: peer to peer (apprendimento fra pari), cooperative learning (mutuo insegnamento), role playing (gioco di ruoli), ecc.

I risultati c’erano, tant’è che il modello dell’attivismo pedagogico si è ampiamente e velocemente diffuso in Europa e nel mondo. In poco tempo, tante scuole sono state aperte e tanti docenti sono stati formati sulla filosofia del fare. Ancora oggi le Università e le Scuole di specializzazione ripropongono teorie e pratiche alunno-centriche. Ma il discente, nella scuola dei giorni nostri, è veramente messo al centro del processo educativo?

Oggi, sono tanti i richiami normativi e le sollecitazioni progettuali che arrivano dai Programmi Operativi Nazionali (P.O.N.) e dai vari interventi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (P.N.R.R.) che si ispirano a quel modello didattico, in cui l’ambiente è il principale insegnante. Basti pensare alle competenze di base e agli ambienti educativi per l’apprendimento, agli spazi innovativi per l’infanzia, a Edugreen, ai laboratori STEM, ecc, per i quali tutte le scuole italiane sono state stimolate a progettare ed ora a rendicontare. Ma in quali direzioni vanno i programmi e le metodologie scolastiche?

In passato, non era la grande lezione frontale a rendere erudito l’alunno, e tanto meno l’esercizio ripetitivo e frenetico di regole grammaticali o algoritmi matematici, ma semplicemente l’esperienza, la pratica, il coinvolgimento psico-sensoriale dell’alunno in tutte le fasi del suo apprendere, grazie ai quali, tutti, anche gli alunni disabili, avevano possibilità di crescita. Maria Montessori è stata una pioniera della didattica speciale per l’avere condotto alunni esclusi dal sistema d’istruzione italiano al perseguimento della licenza elementare.

Ma qual è il modello scolastico proposto, oggi? La scuola pone le famiglie, ma soprattutto gli alunni, di fronte ad un assetto statico, in cui, chi apprende è obbligato ad un banco e ad una sedia per 8 ore al giorno, tra libri, quaderni, software didattici e, se si ha la fortuna ad avere un docente di buona volontà, tra qualche ora di laboratorio di arte, di scienze o di lingue. Nella peggiore delle ipotesi, invece, propina valanghe di fotocopie, su cui lo studente è chiamato ad apporre delle semplici X, in una corsa sfrenata contro il tempo, considerando in minima parte la dotazione di libri, quaderni ed eserciziari INVALSI di cui potrebbe già essere in possesso.

Peccato che Maria Montessori non è vissuta abbastanza per poter rivoluzionare anche il mondo del tecnologico e del digitale. Sicuramente avremmo assistito ad una crescita e ad un potenziamento dell’autonomia del bambino anche da quel punto di vista.

Tuttavia, la sua eredità è ancora forte, in quanto nell’ordinamento scolastico italiano, in alternativa alle scuole tradizionalmente concepite, di matrice herbertiana, vi sono scuole attive, montessoriane, in cui, l’agire dell’alunno e la sua mente assorbente sono al centro di tutto, proprio perché, vale la pena sottolineare, sono stati oggetto di studio di una scienziata, di un medico e, non ultima, di un’educatrice.

Salvatore Sibilla

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