La notizia è ormai diventata virale. La classificazione del film “Mary Poppins“, classico del 1964, in Gran Bretagna è passata da “film per tutti” a “film per minori di 12 anni ma solo se accompagnati da una persona adulta”. Questo quanto deciso dal British Board of Film Classification (Bbfc), come riporta La Repubblica.
La motivazione? La pellicola contiene un “linguaggio discriminatorio” e quindi si sconsiglia di far vedere ai bambini il film da soli. In particolare, si contesta l’uso del termine dispregiativo “ottentotti”, originariamente usato dagli europei bianchi per i popoli nomadi dell’Africa meridionale viene utilizzato per riferirsi agli spazzacamini con la faccia sporca di fuliggine.
Il British Board of Film Classification ha dichiarato di aver classificato il film nel 1964 e poi di nuovo per una riedizione nel 2013. “Recentemente, il film ci è stato ripresentato nel febbraio 2024 per un’altra riedizione nelle sale, e lo abbiamo riclassificato ‘PG’ per il linguaggio discriminatorio”, ha dichiarato un portavoce del Bbfc. “Sebbene Mary Poppins abbia un contesto storico, l’uso di un linguaggio discriminatorio non è condannato e, in definitiva, supera le nostre linee guida per il linguaggio accettabile in ‘U’. Abbiamo quindi classificato il film ‘PG’ per il linguaggio discriminatorio”.
Inutile dire che molti non sono d’accordo, e non accettano che, in nome del politically correct, si sta applicando su prodotti da sempre guardati dai bambini la cancel culture. A commentare, nelle pagine de Il Giornale, il giornalista Luigi Mascheroni. “Quando al liceo il professore di italiano ci spiegò la Lettera semiseria di Grisostomo di Giovanni Berchet, dove l’autore divide la gente in Ottentotti (cioè gli ignoranti, ottusi a ogni voce poetica), Parigini (dotti ma privi di sensibilità) e Popolo (i lettori che conservano un vivo senso della poesia), la parola ‘Ottentotti’, che indica una tribù africana, divenne un tormentone. Ma ci spinse a conoscere gli Ottentotti e ce li rese simpatici. Persino più del Berchet. Si chiama contestualizzazione”.
Da qui il dilemma per i docenti: meglio censurare le parole discriminatorie contenute nei prodotti culturali o meglio affrontarle contestualizzandole per imparare a non usarle?
In quest’ultimo caso si tratta di un lavoro complesso. Risulta interessante la riflessione di Annarosa Buttarelli, filosofa, docente e saggista, pubblicata su Vanity Fair: “Nella mia esperienza nelle scuole, ho sentito insegnanti lamentare il fatto che includere la diversità sia molto difficile, ma lo è perché il nostro presupposto è sbagliato: ci muoviamo per fare entrare nelle regole e nelle abitudini del nostro mondo chi le ha diverse”. Insomma, partire dalla lingua potrebbe dar vita ad un cambiamento di più ampio raggio.
Di recente il dibattito si è concentrato su un altro classico del cinema per bambini, ossia “Biancaneve“. Una delle più belle e note fiabe dei fratelli Grimm è finita sotto inchiesta per causa dei Sette nani che sarebbero violenti e buzzurri, e dunque da cancellare dalla fiaba e a maggior ragione dal film animato di Walt Disney a cui, quando uscì, nel 1938, furono conferiti premi (1 Oscar) e riconoscimenti vari, a parte i record di incassi e di pubblico.
Già qualche anno addietro un gruppo di femministe pedagoghe americane puntarono il dito contro il Principe azzurro il cui bacio a una dormiente è un segno evidente di stupro e di violenza. Infatti il bel ragazzo, fra l’altro provvisto di uno spadino quasi infantile e di una mantellina effeminata, invece di capire cosa era successo alla bella addormentata, si avvicina e proditoriamente la bacia sulla bocca, senza dunque avere il consenso della donna. Dunque per loro quella fiaba non aveva motivo di essere letta a scuola né si doveva mostrare ai ragazzi il film animato: troppa violenza in quel gesto.
L’argomento del sessismo nelle fiabe è stato affrontato anche dalla regista e attrice Paola Cortellesi. “Siamo sicuri che se Biancaneve fosse stata una cozza il cacciatore l’avrebbe salvata lo stesso? Biancaneve faceva la colf ai sette nani!”, queste le parole dell’attrice riportate da La Stampa, che ha fatto un discorso agli studenti cercando di ribaltare gli stereotipi delle fiabe tradizionali.
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