L’attuale emergenza sanitaria assume nuove forme attraverso il raggiungimento di nuovi dati e rispettivi tassi di rischio epidemiologico. L’insorgenza della nuova variante Xe, di provenienza ancora incerta, mette a rischio gli attuali sistemi di gestione sanitaria, che temono ripercussioni su ospedalizzazioni, terapie intensivi ed eventuali decessi della popolazione anziana o con patologie pregresse. Il mantenimento delle attuali limitazioni, in somma analisi, potrebbe giustificarsi parzialmente con il timore delle nuove varianti e dei diretti effetti; l’arma delle mascherine e del distanziamento interpersonale, come qualunque pandemia ed emergenza sanitaria conseguente, risulta necessaria all’interno degli edifici pubblici, si sostiene. Sono in molti però a fare corretto riferimento ad un tasso di mortalità e di ospedalizzazione incredibilmente più limitato indotto dal COVID-19, che potrebbe confermarsi, in campo meramente biologico, l’ennesimo agente eziologico in fase endemica, in cui riduce l’aggressività in funzione di sopravvivere e trovare ospiti. Tale divisione – ideologica, medica o biologica che sia – ha portato alcuni paesi del Vecchio Continente ad abbandonare le restrizioni, anche quelle più basilari, per favorire il ritorno ad una vita normale, definibile “pre-pandemica”. Altre realtà europee sembrano fare fatica, muovono passi lenti e di ridotta capacità nello scrollarsi di dosso misure (quasi) superflue.
Numerose sono le realtà europee che hanno di fatto approvato una manovra di rimozione definitiva delle misure prima in vigore, relative a mascherina e distanziamento interpersonale. Di fatto, comunque, l’indossare dispositivi di protezione, nelle misure proposte dai Ministeri della Salute pubblica delle realtà sopracitate, si tratterebbe solo ed esclusivamente di una raccomandazione. Pertanto, la norma di fatto perde il suo carattere di obbligatorietà, affossando il suo assetto dispositivo. Le ragioni di tali direzioni sono molteplici: il rischio epidemiologico sempre più limitato e gestibile, la fase endemica in cui si trova il nemico invisibile e la mortalità associata al virus sempre minore. Il caso della Francia risulta particolarmente interessante ed emblematico: il paese è arrivato a febbraio scorso con misure pesanti e limitanti ed è uscito dopo un mese circa con la totale soppressione di queste ultime, che includevano mascherine a scuola (incluse per attività all’aperto come quelle sportive), mantenimento del distanziamento interpersonale e segnaletica orizzontale. Quest’ultima è stata rimossa dalla buona parte degli istituti, le aule hanno riiniziato ad accogliere la totalità degli studenti e degli insegnanti.
“È fatto obbligo di utilizzo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie di tipo chirurgico, o di maggiore efficacia protettiva, fatta eccezione per i bambini sino a sei anni di età, per i soggetti con patologie o disabilità incompatibili con l’uso dei predetti dispositivi e per lo svolgimento delle attività sportive”. Tale massima figura nel testo del Decreto Riaperture, redatto dalle istituzioni sanitarie e dell’istruzione all’unisono del Belpaese. pare figuri ancora concreta difficoltà ad abbandonare le disposizioni attualmente in vigore, nonostante lo status pandemico cambi continuamente, in positivo per ora. Sinché la situazione sarà del tutto stabile le autorità nazionali non hanno intenzione di “abbassare la guardia”, massima ripetuta presso ogni telegiornale durante le interviste a vari personaggi della politica. Tale tendenza risulta oramai contraria a quella perseguita all’interno di altre realtà europee, come si evince dall’annullamento delle disposizioni su mascherine e distanziamenti in talune aree. La Rete Nazionale Scuole in Presenza ha fatto direttamente presente al Ministro dell’Istruzione Bianchi e l’omologo della Salute Speranza di “uscire dalla propria posizione di isolamento nelle politiche di gestione del SARS-CoV2 a cominciare dall’utilizzo delle mascherine e del distanziamento in ambito scolastico”
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