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Massimo Ghini: “La scuola una volta preparava di più”. È così o era solo più selettiva e andava avanti chi poteva?

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“Io rispetto ai miei figli per preparazione sembro un professore di filologia romanza. Io ho solo una laurea ad honorem e solo la maturità. Ma quando dico una cosa ai miei figli vedo che non sono preparati o vanno su Wikipedia. Io vengo da una scuola nozionistica in cui però ci facevano studiare. La differenza di preparazione culturale è enorme”: lo ha detto di recente l’attore Massimo Ghini, riscuotendo grande consenso.
In realtà, quello di Massimo Ghini è un pensiero molto diffuso, forse è anche quello prevalente nell’opinione pubblica.
Ora, che il nostro sistema scolastico non brilli per qualità è un fatto che non va minimizzato, ma è altrettanto vero che la questione va letta anche in chiave storica.

Dalla nascita della Repubblica ad oggi la scuola italiana è cambiata in modo radicale: nonostante le difficoltà e le contraddizioni, siamo passati da una scuola per pochi ad una scuola se non per tutti ma certamente per molti, moltissimi.

Basta leggere i dati dell’Istat per comprendere la misura del problema.
Nel 1961 gli italiani con il diploma di “terza media” erano poco meno di 4 milioni e 400mila; nel 1971 diventano più di 7 milioni, nel 1981 12 milioni e mezzo e nel 1991 superano i 16 milioni: da quel momento in poi si stabilizzano fra i 16 e i 17 milioni.
Ancora più evidente è quello che capita per i diplomati che erano meno di 2 milioni nel 1961 ma sono più del triplo 20 anni dopo e superano i 16 milioni a partire dalla metà del primo decennio di questo secolo.
Impressionante il dato dei laureati: si passa dai 600mila del 1961 per arrivare a 6,3 milioni nel 2011.

Allora, dire che 50 anni fa i diplomati avevano una preparazione migliore rispetto ai diplomati di oggi è una affermazione che necessita di qualche precisazione.
Per intanto bisogna ricordare che 50-60 anni fa un buon 70-80% dei ragazzi e delle ragazze non arrivava all’esame di “maturità” e molto spesso si fermava alla terza media o finiva al massimo negli istituti professionali (che all’epoca duravano 2 o 3 anni e non 5 come adesso).
Chi finiva il liceo classico negli anni 60 traduceva Erodoto e Cicerone forse meglio di tanti universitari di oggi, ma la selezione era altissima, su 100 studenti che si iscrivevano alla IV ginnasio, molti si perdevano già nei primi anni e solo una parte di loro arrivava al termine del percorso in 5 anni.
Sarebbe come voler giudicare la “bontà” di una “scuola” di atletica dai risultati degli allievi che arrivano alle selezioni finali per i campionati nazionali: è ovvio che chi supera le selezione sia un allievo (o una allieva), dotato e preparato, ma per valutare il percorso bisognerebbe farsi anche qualche altra domanda: quanti allievi hanno iniziato la scuola, quanti l’hanno abbandonata e quanti non l’hanno neppure iniziata per i più diversi motivi (lontananza dagli impianti sportivi o addirittura per difficoltà di natura economica)?

Affermare che un settantenne di oggi, diplomatosi 50-60 anni fa, non ha bisogno di Wikipedia per conoscere la data della pace di Westfalia è solo una mezza verità: fra i sessantenni e i settantenni di oggi ci sono tante, tantissime persone che, a mala pena, sono arrivate al diploma di terza media. E’ un raffronto che non ha alcun senso.
A meno che non si voglia sostenere che dobbiamo tornare ad una scuola selettiva come era descritta dai “ragazzi” di Barbiana nella “Lettera ad una professoressa”.