Categorie: Università e Afam

Master universitari: formazione vera o semplice business?

Come mai gli insegnanti italiani hanno tanta voglia di formarsi e perfezionarsi in didattica generale o in specifiche tematiche disciplinari? Sarà per caso dovuto al fatto che questi corsi, svolti annualmente, danno diritto all’acquisizione di un punteggio per scalare posti in graduatoria?
Sì, perché l’acquisizione di tali titoli per i docenti di ruolo, dà, per ogni corso di perfezionamento di durata non inferiore ad un anno, previsto dal decreto n. 509/99, nonché per ogni master attivati dalle università statali o pareggiati, il diritto di acquisire un punto per corso, da inserire nelle domande di mobilità o nelle graduatorie interne d’Istituto per individuare i docenti perdenti posto, tenendo conto che è valutabile un solo corso, per lo stesso anno accademico. Invece per i docenti precari, inseriti nelle graduatorie ad esaurimento e nelle graduatorie d’Istituto per le supplenze, per ogni Diploma di perfezionamento, Master universitario di I e II livello di durata annuale, corrispondenti a 1500 ore e 60 crediti con esame finale, coerente con gli insegnamenti ai quali si riferisce la graduatoria, si garantiscono fino a 3 punti per un massimo di 9 punti.
Mentre per ogni attestato di frequenza di corsi di perfezionamento universitario di durata annuale, con esame finale, coerente con gli insegnamenti ai quali si riferisce la graduatoria, ma che non è corrispondente alle 1500 ore e ai 60 crediti formativi universitari, si assegna soltanto un punto fino ad un massimo di tre.
La domanda che si pongono in tanti e che noi rivolgiamo ai nostri lettori è: “Ma si tratta di corsi seri e formativi o del bisogno disperato di fare punti?”.
La sensazione che si ha, ma è solo una sensazione, che si tratti di un provvedimento di legge che si basa su una sorta di “do ut des”, in cui il docente paga, all’università o ad un consorzio di università, una cifra che varia dalle 600 alle 1500 euro o anche di più, per ricevere in cambio non, come sarebbe corretto, una seria formazione didattica, ma molto più semplicemente dei punti da fare valere nelle varie graduatorie che accompagnano il docente per tutta la sua carriera.
La norma che ha generato la proliferazione del mercato di questi titoli è la legge n.143/2004 che ha aperto le porte alla valutazione di questi titoli nelle graduatorie del personale precario della scuola.
L’introduzione di questa norma e l’introduzione di questi titoli nei contratti di mobilità hanno prodotto un grosso bussinnes economico per le università che organizzano per gli inseganti delle scuole questi master e corsi di perfezionamento. Si tratta quindi di corsi burla o di corsi seri? Questi corsi servono per formare e aggiornare i docenti secondo una didattica più attuale o servono a rimpinguare le casse delle Università?

Lucio Ficara

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