Master universitari? Vi spiego come funzionano (anche se lo sanno tutti)

Dal momento che codesta redazione chiede ai lettori un parere sulla proliferazione incontrollabile dei master e dei corsi di perfezionamento che consentono ai docenti precari di gonfiare il proprio punteggio, voglio riportare la mia testimonianza diretta su quanto ho visto in questi anni a riguardo.
Dalle mie parti, quando due precari parlano del loro punteggio in graduatoria usano espressioni del tipo “quanti F….. hai?”. Ad inquietarmi non è mai stato l’uso inappropriato della parola F….., utilizzata come sinonimo di master, ma l’aggettivo “quanti”. E’ appena il caso di ricordare che “F….” è il nome di una delle università telematiche preferite dai precari (ha delle buone “tariffe”), i quali in massa fanno a gara per assicurarsi titoli di studio che si possono ottenere o studiando o nella maniera che segue:
1) Paghi.
2) Ricevi il materiale di studio a casa, corredato da domande a cui dovresti rispondere.
3) Senza studiare alcunché, metti delle risposte a caso e rispedisci il tutto alla F….
4) La F…..m ti spedisce altri moduli di studio con ulteriori domande e, nel contempo, ti fornisce le risposte corrette alle domande spedite in precedenza.
5) Sostieni l’esame, che presenta un estratto delle stesse identiche domande che hai ricevuto durante la “preparazione” al corso. Durante l’esame la vigilanza è, diciamo, “approssimativa”.
E’ come se ai miei alunni fornissi una serie di questionari e poi dicessi che il compito conterrà le stesse domande.
Se qualcuno dei lettori ritiene che questo sia un Paese normale…
 
 
I lettori ci scrivono

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