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Masterificio e punteggificio: coltivazioni da Repubblica del ficodindia

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Non vuole essere l’ironico e banale qualunquismo, di chi sente il bisogno di criticare, a tutti i costi, alcune scelte legislative imbarazzanti, ma è piuttosto il volere dare risalto ad un’ opinione, molto diffusa tra i docenti , riguardo il commercio speculativo dei corsi di perfezionamento sulla didattica e dei master di primo e secondo livello, che è stato introdotto per via legislativa, nel 2004, con lo scopo ricattatorio di costringere i precari della scuola e non solo, ad acquistare, anche a caro prezzo, questa tipologia di titoli culturali, al fine di acquisire qualche punto da inserire nelle graduatorie.
 Si tratta di un provvedimento di legge che si basa su una sorta di “do ut des” , in cui il docente paga , all’Università o ad un consorzio di università, una cifra che varia dalle 600 alle 1500 euro , per ricevere in cambio non ,come sarebbe corretto, una seria formazione didattica, ma molto più semplicemente dei punti da fare valere nelle varie graduatorie che accompagnano il docente per tutta la sua carriera . Chi ha introdotto il sistema dei punteggi riferiti ai master e corsi di perfezionamento nelle graduatorie ad esaurimento, in quelle d’ Istituto e per la mobilità? Con la legge 143/2004 si introdussero come titoli “culturali” da inserire nelle graduatorie permanenti (oggi graduatorie ad esaurimento) i corsi di perfezionamento e i master di primo e secondo livello. In questa legge all’art.1 è scritto che a decorrere dall’anno scolastico 2004-2005 le graduatorie permanenti di cui all’articolo 401 del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado, approvato con decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, e successive modificazioni, di seguito denominato: “testo unico”, sono rideterminate, limitatamente all’ultimo scaglione previsto dall’articolo 1, comma 1, lettera b), del decreto-legge 3 luglio 2001, n. 255, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 agosto 2001, n. 333, in base alla Tabella allegata al presente decreto. Sono valutabili, dando luogo all’attribuzione del punteggio, esclusivamente i titoli previsti dalla predetta Tabella. 
Tra i vari titoli culturali previsti da tale tabella ci sono anche i diplomi di specializzazione o master universitari o corsi di perfezionamento universitario di durata almeno annuale, con esame finale. A questi titoli, se coerenti con gli insegnamenti cui si riferisce la graduatoria, vengono attribuiti punti 3. Questo provvedimento legislativo ha scatenato la corsa ad accaparrarsi il titolo culturale, che veniva e viene tutt’ora acquisito senza nessuna selezione di merito. Infatti, basta pagare e sostenere un esame finale proforma per acquisire titolo e punteggio. Si tratta, ad avviso di tanti docenti, di un masterificio e punteggificio degno di una Repubblica delle banane. 
L’introduzione di questi titoli , scadenti dal punto di vista formativo, ma utilissimi per consolidare o scalare le posizioni di graduatoria, è subentrato anche nei contratti integrativi di mobilità, per cui per i trasferimenti a domanda o d’ufficio, ogni corso di perfezionamento di durata non inferiore ad un anno vale un punto, e come viene riportato nella nota 14 del contratto sulla mobilità, i corsi tenuti a decorrere dall’anno accademico 2005/06 saranno valutati esclusivamente se di durata annuale, con 1500 ore complessive di impegno, con un riconoscimento di 60 CFU e con esame finale.
 L’introduzione di queste norme legislative e contrattuali hanno prodotto un grosso bussinnes economico per le università che organizzano per i docenti questi master e corsi di perfezionamento. Il fatto che nessun corsista sia mai stato bocciato all’esame finale ed abbia sempre conseguito il titolo culturale, pagato caramente, la dice lunga sulla serietà di questa formazione, che molto spesso è fatta a distanza e on line, e sull’aspetto puramente speculativo-economico. Anche per questi motivi la scuola perisce lentamente tra l’impoverimento culturale e formativo e la paura dei docenti di perdere la certezza del posto di lavoro.