I lavoratori che “servono” lo Stato possono contare, per antonomasia, in un maggiore tutela dei loro diritti. Ma la regola non è assoluta.
Ne sa qualcosa un’educatrice di scuola materna che, dopo il parto, si era vista negare dalla Direzione del Lavoro di Genova la possibilità di astenersi dall’incarico fino a sette mesi successivi alla nascita della sua bimba.
La donna, però, ha presentato ricorso al Tar della sua regione. Il quale, il 1° marzo, le ha dato ragione, condannando pure il Ministero del Lavoro a pagare 3mila euro di spese di giudizio.
Il tribunale regionale della Liguria ha, soprattutto, annullato il provvedimento con cui veniva bocciata la domanda presentata dall’educatrice che chiedeva l’interdizione post maternità in relazione alla sua mansione nella scuola materna con “rischio infettivo di trasmissione al neonato derivante da stretto contatto con i bambini”.
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Il Tar – scrive l’Ansa – ha considerato illegittimo l’atto con cui la Direzione del Lavoro ha imposto “la propria valutazione su quella del datore di lavoro senza prima interessare l’Asl di competenza”. Va anche ricordato che qualora l’educatrice avesse potuto godere del beneficio, avrebbe percepito una indennità pari all’80% dello stipendio.
La donna, invece, per fare fronte alle esigenze di tutela della salute della bambina, ha usufruito prima di un congedo facoltativo retribuito nella misura del 30% e successivamente di un permesso non retribuito.
L’educatrice ricorrente ora potrebbe pure recuperare i permessi non goduti nel periodo post nascita della sua bimba: è assai probabile che anche questo ricorso, forte della prima espressione del Tar, le dia ragione.
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