E’ diventato il simbolo delle responsabilità oltremodo additate ai dirigenti scolastici: è Livio Bearzi, finito in carcere a seguito del terremoto dell’Aquila delle 3.32 del 6 aprile 2009, che devastò il Convitto nazionale “Domenico Cotugno” da lui diretto, portando alla morte tre studenti e ferendone in modo grave altri due.
A condannarlo, in via definitiva, il 10 novembre 2015, a quattro anni di reclusione (più la pena accessoria cinque anni dell’interdizione dai pubblici uffici) per omicidio colposo plurimo e lesioni personali, era stata la Cassazione. Con immediato ordine di carcerazione emesso dalla Procura generale della Corte d’Appello de L’Aquila.
Eppure Bearzi era diventato preside di quel Convitto da pochissimi mesi: a 58 anni gli si sono così aperte le porte del carcere di Udine, dove nel frattempo era tornato.
Di carcere vero, Bearzi aveva fatto solo un mese e mezzo. Perché il 23 dicembre 2015 il Magistrato di Sorveglianza di Udine gli aveva concesso, in via provvisoria, l’attività presso i servizi sociali. La disposizione, poi, è stata resa definitiva dal Tribunale di Trieste l’aprile successivo.
I giudici non hanno avuto dubbi: era lui il responsabile della mancata ristrutturazione dell’edificio ottocentesco dell’Aquila, che ospitava il convitto, e anche della mancata predisposizione di un piano per la sicurezza.
Il dirigente scolastico, che però non ha margini di operatività, né la possibilità di spendere un euro: in Italia, sembra assurdo, ma la legge è questa. L’ente locale, il proprietario della struttura scolastica, ha meno responsabilità del preside.
Nel corso dei due anni scarsi passati dietro le sbarre, accanto a Bearzi si sono schierati in tanti: docenti, colleghi, politici, sindacalisti, esperti di sicurezza.
Con lui si erano schierati anche gli studenti aquilani, per una condanna esemplare, ma che sembrava quasi un accanimento se paragonato ad altri scandali che hanno caratterizzato la gestione del prima e dopo-terremoto dell’Aquila.
La solidarietà si è trasformata in richiesta di grazia. Che ora è arrivata, seppure parziale. Il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, gli ha condonato interamente la pena accessoria dell’interdizione per cinque anni dai pubblici uffici. Ma non l’estinzione del reato penale.
La notizia è stato fornita all’Ansa dal suo avvocato, Stefano Buonocore, che ha espresso “grande soddisfazione” a nome dell’assistito.
Bearzi, quindi, continuerà a svolgere volontariato, presso un consorzio che si occupa di accoglienza ai profughi. Ma potrà probabilmente anche tornare a dirigere la sua scuola. Che, però, non è più il Convitto dell’Aquila.
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