Nuovi esami di Stato 2019 al via la prossima settimana. Con due nuove prove scritte, senza più la terza prova a più materie, ma con un orale che prevede la scelta, da parte dei ragazzi, di quesiti inseriti in una busta, da pescare tra tre preparate dalla commissione. Sono novità, però, che non toccano la sostanza. Perché è l’ennesimo cambio di forma, ma la sostanza, dicevo, è sempre la stessa.
E la sostanza ci porta alla domanda se sia ancora necessario questo esame, dopo che la metà dei docenti commissari si troverà a valutare i propri ragazzi due volte in pochi giorni, mentre per l’altra metà, quelli esterni, si tratterà di immaginare una valutazione che dovrebbe, proprio perché esterni, garantire la richiesta di equità, ma in ragione del merito, della effettiva cioè ed oggettiva preparazione.
Perché spendere un bel pacchetto di milioni di euro per sapere quello che già si sa, sulla preparazione dei nostri ragazzi?
Il ministero, per favorire l’equità, si aspetta più uniformità di giudizio, messa in crisi dal boom di voti alti al Sud di contro ai voti bassi al Nord, nonostante le prove Invalsi ed Ocse-Pisa dicano che i risultati e le scuole migliori stiano al Nord (anche se in gioco è il “valore aggiunto”, non il risultato in sé e per sé). Le griglie di valutazione saranno perciò uniche per tutte le commissioni, ed il punteggio del curriculum scolastico potrà essere di ben 40 punti sui 100 totali.
Griglie di valutazione uniche, ma che dovranno essere, per così dire, calibrate poi dalle singole commissioni. Cosa inevitabile ma che continuerà a creare diseguaglianze di esiti, con docenti da un lato di manica larga e altri invece più rigorosi.
Ovviamente, più che di differenza tra Nord e Sud parlerei di dislivello tra docenti e docenti e scuole e scuole, a macchia di leopardo.
Il problema a monte, mai affrontato, e che nessuno purtroppo considera, è la mancanza da noi di un sistema di valutazione terzo: chi valuta i valutatori? Nessuno. Chi valuta i presidi e le scuole? Nessuno. Ci si affida come sempre solo alla buona volontà, alla sensibilità, alla passione, tutti con lo stesso stipendio e senza progressione di carriera, senza nessuna distinzione di merito.
L’Italia, così, anche sul piano scolastico, rischia ancora di trovarsi divisa e frammentata in più parti, al proprio interno? Cosa fare per ridurre il gap? Cosa vuol dire etica della responsabilità personale? Perché non esiste, a parte la personale buona volontà?
Vediamo, per ritornare al nostro tema andando più a fondo, cosa dicono le università ed il mondo del lavoro.
La loro opinione è unanime: per loro l’esame di maturità non è per nulla attendibile, non dice cioè la reale preparazione. Dunque, non serve per ridurre quel gap, non favorisce la qualità e l’equità.
Nonostante le griglie di valutazione uniche nazionali, si sa che poi sono coloro che le applicano che fanno sempre la differenza.
Per tamponare questa falla basterebbe rendere esterni tutti i commissari, e mischiarli su tutto il territorio nazionale. Cosa non prevista e dai costi proibitivi. Per cui, niente cambierà.
L’esame di maturità, dunque, non sarà un filtro qualitativo sull’effettiva preparazione e non aiuterà i ragazzi ad orientarsi nella scelta universitaria e nel mondo del lavoro. A cosa serve una valutazione quando quasi il 100% risulta poi promosso?
Allora, a che pro questo benedetto esame di maturità col vecchio richiamo al suo valore legale? Il suo valore è tutto come cruna dell’ago, rito di passaggio cioè tra adolescenza e giovinezza. Un valore solo psicologico, e non funzionale ad un effettivo orientamento alle scelte successive.
Perché, questa la mia proposta, non copiare da altri Paesi, in via sperimentale, per poi costruirci un nostro esame di maturità?
In Inghilterra, ad esempio, l’esame segue due step. Il primo a 16 anni, ed il successivo a 18 anni (da loro, come in quasi tutti i Paesi, la maturità è a 18 anni). Un secondo esame più approfondito, funzionale dunque alla scelta successiva.
Questi due livelli consentono poi agli inglesi di non dover incrociare i test d’ingresso universitari, mentre da noi sono obbligatori in quasi tutte le facoltà proprio perché l’esame di maturità non vale più niente, a parte la funzione psicologica.
Perché non imparare dalle cose buone di altri Paesi?
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