La maturità 2019 è stata contrassegnata da tante novità, in particolare all’orale dove sono andate in scena le famigerate buste.
Non sono mancate le polemiche come testimoniato dalla Tecnica della Scuola.
Interessante, in questo senso, è la testimonianza pubblicata sul sito “Gli Stati Generali” a cura del docente Antonio Vigilante.
Ne pubblichiamo uno stralcio rimandando per leggere la lettera, nella sua interezza, al sito specializzato.
“Si siede davanti alla commissione. Ha lo sguardo un po’ smarrito, ma non mi preoccupo: le succede. Le sottoponiamo le tre buste. Sorride, ne sceglie una, l’apre. Sbircio: no, non è stata fortunata. A qualcuno il meccanismo delle buste ha presentato una poesia, a qualcuno un articolo della Costituzione, a qualcuno ancora un passo di qualche sociologo o antropologo. A lei il calcolo di un limite. Il suo smarrimento diventa desolazione. Le diciamo di prendersi tutto il tempo che le occorre, che non è necessario calcolare ora il limite, è solo uno stimolo per iniziare la trattazione, se vuole può calcolarlo alla fine con calma. Niente. Pietrificata. Suggeriamo: lascia stare la matematica, pensa al concetto di limite. Niente. Aggiungiamo: limite, confine, dai. Qualcuno azzarda: barriera. Siepe, ecco. La siepe. Ma sì, Leopardi. E l’esame comincia”.
[…] “Di questi esami di Stato mi resterà soprattutto il suo sguardo. E la sua muta domanda. Una domanda che mi sono posto ogni giorno da membro interno agli esami di Stato. Perché? Perché facciamo questo? Perché facciamo loro questo? Sono convinto da tempo che la crisi della scuola sia una crisi di senso, dalla quale si cerca di uscire con cambiamenti burocratici che non sfiorano minimamente i problemi reali, perché riguardano la ratio, non il logos: la ragione-organizzazione, non la ragione-senso. Per salutare degnamente i nostri studenti, mettiamo su una vera rappresentazione teatrale il cui unico scopo è suscitare disgusto e incredulità”.
[…]
“Fino allo scorso anno all’esame lo studente portava la tesina o il percorso. Era una cosa poco seria anche quella, i collegamenti erano ridicoli, ma qualcuno – pochi – ne approfittava per approfondire un interesse reale, e capitava anche di sentire qualcosa di intelligente”.
“La ridicolizzazione è doppia, perché in questa meschina sceneggiata ministeriale ad essere ridicolizzati siamo anche noi docenti. E’ la nostra cultura, la nostra passione. Sono le discipline. Sono gli autori. Tutto, tutti ridotti a figurine da appiccicare con lo sputo per comporre il quadro della miseria istituzionale della scuola italiana”.
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