Non piacciono quasi a nessuno le modifiche che sono state introdotte nell’esame di Stato conclusivo della scuola secondaria di secondo ciclo.
Le proteste si concentrano soprattutto sul fatto che le novità siano state portate a conoscenza di docenti e studenti a metà anno scolastico, quando ormai tutti davano per scontato che per il 2018/19 non sarebbe cambiato nulla.
Per la verità il cambio delle regole in corso d’opera non è una novità nella scuola italiana: il caso più clamoroso si ebbe esattamente 50 anni fa, il 15 febbraio del 1969, quando con un decreto legge il Governo stravolse completamente l’esame di Stato.
Ma erano tempi diversi e soprattutto va detto che in quella occasione gli studenti furono felicissimi in quanto le nuove regole tendevano a rendere molto più semplice e facile l’esame di maturità, come allora si chiamava ancora.
In questo caso sta tornando d’attualità la vecchia idea di eliminare del tutto l’esame di Stato.
In realtà l’esame di Stato è espressamente previsto dall’articolo 33 della Costituzione che recita: “E’ prescritto un esame di Stato per la ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi”.
Questo significa che per eliminare l’esame di Stato conclusivo è necessaria una legge costituzionale che richiede una procedura lunga e complessa.
Il punto sulla questione del vicedirettore della Tecnica della Scuola, Reginaldo Palermo.
Il punteggio finale resta in centesimi: il credito scolastico, calcolato sugli ultimi tre anni, arriva fino a 40 punti a cui si aggiungono massimo 60 punti con le 3 prove, massimo 20 per ciascuna.
Il punteggio minimo per superare l’esame resta 60 punti.
La Commissione d’esame può integrare il punteggio, fino ad un massimo di 5 punti, se il candidato parte da un credito scolastico di almeno 30 punti e da un risultato delle prove di esame di almeno 50 punti.
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