A questo punto è chiaro che la scelta della “videoconferenza in presenza” scontenta più che accontentare, sia per l’assurdità della pensata della “presenza a distanza” (con lo studente in un’altra aula e collegato online con la commissione), sia per i rischi collegati a salute e sicurezza.
Ormai a maggio inoltrato e con la scadenza del 17 giugno sempre più prossima, l’opinione pubblica prende conoscenza e coscienza della pensata per il 2020 dell’esame di stato, degli aspetti organizzativi annessi e connessi, con le problematiche che si stanno ingigantendo di giorno in giorno.
Intanto il primo elemento di critica è che l’ordinanza sarà pubblicata un mese prima dell’esame, scaricando la responsabilità del ritardo sugli “esperti” dal cui parere dipende ancora l’ultima parola (e speriamo che siano più saggi di chi propone certe scelte politiche).
In secondo luogo, la realizzabilità pratica della “videoconferenza in presenza” diventa via via più complicata per gli aspetti logistici, di sicurezza, di mobilità delle persone coinvolte nell’esame.
Anche i sindacati hanno manifestato concrete perplessità ed evidenziato le situazioni che si creerebbero. Lo Snals, in una nota, esprime ferma contrarietà alla formula illustrata dalla ministra, evidenziando una serie di difficoltà poco gestibili: dalla sanificazione delle aule, ai dispositivi individuali di sicurezza, alla formazione sulle regole da seguire, alla mobilità del personale e degli studenti coinvolti, e anche di qualche familiare che volesse assistere legittimamente all’esame di ciascuno di loro.
Perché le università svolgono esami e lauree in videoconferenza a distanza e le scuole no? Perché non prendere come riferimento un modello organizzativo già praticato con successo e avventurarsi invece in soluzioni al limite della razionale praticabilità e rischiose sotto l’aspetto della salute?
Questa è la domanda di buon senso che rimane senza risposta. Ragionando in termini di buon senso, infatti, non sarebbe spuntata l’idea della “videoconferenza in presenza”, che sembra un ossimoro dal punto di vista logico, ma che evidentemente ha funzionato a livello politico sembrando la “sintesi” di mediazione fra chi proponeva un esame solo online e chi si è fissato sulla presenza, per ragioni di bandiera più che di opportunità.
Ricapitoliamo a cosa si andrebbe incontro con la pensata della “videoconferenza in presenza”.
– Per ragioni di “sicurezza” il colloquio orale si svolgerà con la commissione (sei commissari più il presidente) riunita in un’aula e il candidato da solo in un’altra aula, sorvegliato a distanza adeguata da qualche collaboratore scolastico, con eventuale/probabile presenza, ovviamente a distanza adeguata, di qualche familiare, con mascherina obbligatoria.
– Durante il colloquio di un’ora, lo studente potrà calarsi la mascherina, perché è da solo, presente ma distante, e “collegato” online con la commissione, fisicamente riunita in un’aula vicina.
– Dopo ogni colloquio e prima del successivo, scatterà l’immediata igienizzazione di banchi, sedie, porte, servizi igienici.
– Se qualcuno, nonostante le misure di prevenzione, fosse contagiato, addio esame per tutti: salta la commissione, la classe, le classi.
È prudente, opportuno, adeguato? Speriamo che i vari e numerosi esperti che supportano le scelte del ministero e del governo si decidano a pronunciare l’ultima parola, visto che la politica è appesa al loro parere.
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