Attualità

Maturità 2021: quando e perché è nato l’esame di Stato?

Per migliaia di ragazze e ragazzi questi sono i giorni dell’esame di maturità. Parliamo dunque della sua storia e del perché è nato.

L’esame di maturità fu introdotto con la riforma del 1923 voluta dal filosofo Giovanni Gentile. Si trattò di una imponente riforma della scuola e dell’Univeristà che ha profondamente segnato il nostro ordinamento scolastico. L’esame di maturità si teneva al termine degli studi liceali che erano gli unici a consentire l’accesso a tutte le facoltà universitarie. Vi erano quattro prove scritte e una prova orale, tutte valutate da una commissione esclusivamente esterna, composta in parte anche da docenti universitari. La votazione non era unica ma prevedeva un voto per ogni materia. Inoltre l’esame veniva svolto solo in un numero limitato di istituti e quindi molti studenti svolgevano l’esame fuori sede. Erano previsti gli esami di riparazione a settembre.

L’idea alla base della riforma e in particolare anche dell’istituzione dell’esame era quella di rendere la scuola più difficile, di limitare il più possibile l’accesso al liceo e dunque di preservarne la qualità evitando un abbassamento del livello generale. Gli studenti infatti dovevano superare un primo esame per accedere al ginnasio, dove fin da subito erano previste ben 8 ore settimanali di latino. Per accedere al liceo bisognava poi effettuare un secondo esame composto da quattro prove scritte e sette orali della durata complessiva di diciotto ore durante le quali gli alunni appena quindicenni dovevano mettere in luce una solida conoscenza delle letture classiche e moderne.

Così nell’anno scolastico 1924-25, su una popolazione nazionale che sfiorava i 40 milioni di abitanti, vi furono solo 20.570 candidati alla maturità, con un rapporto di 5 maturandi ogni 10 mila abitanti, mentre nel 2005 i candidati sono stati più di 485 mila per un rapporto di 82,6 ogni 10 mila abitanti.

Questo perché il liceo era concepito come una scuola di élite per la formazione di élite che avrebbero dovuto guidare il paese; una scuola che richiedeva un sostegno morale e intellettuale proprio solo delle famiglie dell’alta borghesia e che dunque difficilmente risultava accessibile alle classi meno abbienti. Dai licei doveva uscire la futura classe dirigente del paese e nella filosofia di Gentile era fondamentale una solida preparazione nelle materie classiche e più in generale nelle discipline umanistiche.

A partire dal dopoguerra la riforma fu progressivamente modificata e oggi per quanto l’impianto generale ricalchi quello originario la situazione è molto cambiata. Certamente il progetto di Gentile oggi è inconcepibile (anche solo perché ideato da un regime totalitario). Certamente bisognerebbe ripensare a una riforma complessiva pensata per il bene degli studenti e dei lavoratori della scuola e non dettata da ragioni puramente amministrative e burocratiche o peggio economiche o propagandistiche.

Bisogna tuttavia anche sottolineare che l’idea di fondo della riforma Gentile, secondo cui le classi dirigenti, anche se orientate in un secondo momento verso discipline scientifiche, dovevano crescere con una forte cultura classica e umanistica, è oggi più che mai attuale. Frutto di un periodo storico che aveva ben chiaro questo nesso, oggi è il caso di ricordare che nel nostro mondo tecnologico e scientifico questo presupposto è più che mai fondato e importante. E se non ne foste convinti vi basterà controllare il numero di scienziate e scienziati italiani che, dopo essersi formati nei licei classici, vincono ogni anno premi prestigiosi e finanziamenti in tutto il mondo.

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Dario De Santis

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