L’esame di Maturità del 2022 continua tenere banco. Se ne è parlato martedì 8 al ministero dell’Istruzione, durante l’incontro del numero uno del dicastero bianco, Patrizio Bianchi, con i rappresentanti delle Consulte studentesche, che hanno confermato tutto il loro dissenso per il modello escogitato dall’amministrazione assai simile all’Esame di Stato classico. Il giorno dopo lo stesso ministro Bianchi ha ripreso le fila del discorso durante un intervento Radio24, spiegando che “non siamo giunti a una conclusione, ma non era un negoziato, era un momento di ascolto“.
Anche gli studenti hanno tirato le prime somme: alla Tecnica della Scuola, Tommaso Biancuzzi, Coordinatore nazionale della Rete degli studenti medi, ha spiegato perché ritengono che “la nuova maturità 2022 è stata calata dall’alto senza alcun confronto”.
Sempre Biancuzzi ha confermato che “la protesta continua in modo molto convinto”: venerdì 11 febbraio alle ore 16 gli studenti si ritroveranno sotto il Ministero per rilanciare le loro proposte e per “chiedere a Bianchi di convocare il Forum delle associazioni studentesche per decidere insieme non solo come sarà il prossimo esame di Stato ma anche le decisioni che devono essere prese per la scuola”.
Le parti, amministrazione e studenti, appaiono molto lontane. Come andrà a finire? L’impressione è che, almeno ad oggi, a Viale Trastevere non abbiano alcuna intenzione di venire incontro alle richieste studentesche. Almeno a quelle di cancellazione delle prove scritte, soprattuto la disciplinare, a favore di una tesina da discutere durante il colloquio finale.
Quello su cui potrebbero agire gli alti dirigenti ministeriali, direttamente nell’ordinanza sugli Esami di Stato, è la percentuale di incidenza delle singole prove d’esame: in pratica, potrebbero depotenziare le tre prove d’esame (i due scritti e l’orale) e conferire invece maggiore valenza, sotto forma di punteggio massimo, alle medie dei voti acquisiti nell’ultimo triennio al termine degli scrutini finale, come pure ai crediti scolastici e formativi.
Forse si potrebbe aumentare anche il valore delle esperienze fatte con il discusso Pcto, anche se quest’ultimo aspetto dovrà essere bene considerato, visto che dal marzo 2020 si sono quasi azzerate (almeno nella loro forma tradizionale in azienda).
In pratica, l’esito delle prove d’esame andrebbe a pesare di meno sulla valutazione finale in centesimi, rispetto alle medie con le quali i maturandi sono stati ammessi alle prove stesse.
In tal modo, anche coloro che dovessero svolgere le tre verifiche in modo non impeccabile, potrebbero comunque ritrovarsi a prendere un voto soddisfacente. O, perlomeno, non rischierebbero di dovere ripetere l’anno.
Sulle percentuali di incidenza, però, al momento non trapela nulla. Non intendiamo avventurarci in ipotesi, ma alla fine il peso dei tre anni finali delle superiori potrebbe essere all’incirca pari alla metà del voto finale.
Sempre durante l’intervento a Radio24, il ministro dell’Istruzione è sembrato comunque possibilista sull’intraprendere questa strada.
Alla domanda della redazione che gli chiedeva un parere sulla richiesta degli studenti di dare un maggior peso al percorso di studi del triennio finale, da terzo al quinto anno, piuttosto che all’esito delle tre prove, Bianchi ha replicato: “Ci sto ragionando su”.
Mentre, dopo avere invitato i maturandi a “non avere paura”, il titolare del Mi ha fatto intendere che la seconda prova scritta, su cui ha avuto da ridire anche il Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, non verrà tolta.
Salvo colpi di scena particolari, quindi, i due scritti e l’orale finale non si toccano.
Su questo argomento, La Tecnica della Scuola sta realizzando un sondaggio on line.
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