Una piccola chicca in un compito di italiano all’esame di maturità.
Viene citata, come esempio di intreccio tra la storia europea e il tentativo dei russi di allargare il fronte conflittuale con le repubbliche baltiche, l’enclave di Kaliningrad.
Si tratta, come è noto, di un territorio russo, ma separato dalla madre patria, confinante con Lituana e Polonia.
La chicca è il rilievo che il nome storico della città, in realtà, per la sua appartenenza alla Prussia orientale, è Königsberg. Ma questo nome rimanda ad un suo famosissimo cittadino, che nacque nel 1724, studiò, insegnò e morì nel 1804, senza mai spostarsi. Parlo di Immanuel Kant. Nel 1795 il grande filosofo pubblicò un piccolo libro, dal titolo emblematico: “Per la pace perpetua”.
E’ giusto ricordare che Königsberg storicamente fu, cioè, una città prussiana, cioè tedesca, conquistata il 9 aprile del 1945 dai russi e poi annessa da Stalin, con ratifica, nell’agosto successivo, nella conferenza di Potsdam. Solo nel 1991 la Germania rinunciò ad ogni pretesa su questa enclave occupata dai russi.
La decisione, quindi, di Putin di utilizzare questa città-stato per minacciare i Paesi europei ha un sapore storico particolare, dal grande valore simbolico. Quasi a dire che non teme le sanzioni, ma che può paradossalmente mettere in ginocchio, con le due armi del gas e dei missili nucleari, l’intera Europa, cioè tutto l’Occidente.
Sullo sfondo resta quell’operetta di Kant, quasi un monito per il presente tragico del conflitto ucraino e delle possibili conseguenze, ed un invito a pensare la praticabilità della pace.
Anche se quel rimando al futuro di una pace che sia perpetua ci dice, nelle riflessioni kantiane, una intenzione non limitata al presente, ma capace di costruire una convivenza civile che valga oltre le complessità dell’oggi per l’oggi. Con il suo linguaggio, si tratta di indicare un “ideale regolativo”, per orientare le scelte concrete.
Sarà, cioè, mai possibile sradicare la logica della volontà di potenza, quel “pòlemos padre di tutte le cose” del vecchio Eraclito? O si tratta solo di un’utopia irrealizzabile?
L’invito kantiano nasce in un contesto illuministico, anche se poi, attraverso le tragiche vicende che sappiamo della rivoluzione francese, col terrore rosso e poi terrore bianco, si è compreso che la stessa triade illuminista, con una libertà che si incrocia con l’uguaglianza per tradursi in fraternità, fu solo una illusione.
Insomma, non ci sarà mai una “pace perpetua”?
O forse ha ragione quell’invito evangelico non ad una pace fine a se stessa, ma solo agli “operatori di pace”? Per dire anzitutto di un compito che accompagna le vicende umane come imperativo categorico, lo stesso, guarda caso, teorizzato da Immanuel Kant. E poi, in seconda battuta, di una constatazione storica, che la pace vera, secondo giustizia, è oltre la stessa volontà umana, cioè un dono nasce dentro di noi.
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