Nessun ripensamento: tra i mugugni di quasi due studenti su tre, le prove Invalsi rimangono in vita, anzi tornano diventare requisito indispensabile per essere ammessi all’esame di terza media e di maturità. Dopo la precisazione,di fine novembre dello stesso Istituto nazionale di valutazione, secondo il quale – come previsto dall’art.13, comma 2, lettera B del d.lgs. 62/2017 – l’ammissione all’esame di terza media e di maturità sarà nel 2023 subordinata alla partecipazione alle prove Invalsi, a confermarlo è stato il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara: in un’intervista alla Stampa del 29 dicembre, il numero uno del dicastero bianco ha detto che a giugno per l’esame di maturità si torna alla “normalità”, in pratica a come era prima della pandemia da Covid-19.
Tornano, quindi, i tre docenti componenti esterni; due scritti con le tracce decise da Viale Trastevere, il colloquio finale multidisciplinare; i 60 punti massimi derivanti dalle prove finali e i 40 derivanti dalla media dei voti e dalle esperienze svolte nell’ultimo triennio.
Ma soprattutto tornano le prove Invalsi, che diventano requisito di ammissione alle prove, così come deciso nel 2017: il ritorno delle prove Invalsi sarà tutt’altro con un ruolo minimale, perché in un modo o nell’altro (si prevede almeno una prova suppletiva per disciplina, quindi per italiano, matematica e lingua straniera) dovranno essere svolte.
La novità, ha ancora sottolineato Valditara, è che non andranno a realizzare una “valutazione delle competenze” ai fini del giudizio del maturando, ma una racconta di dati utili a “comprendere le competenze acquisite dalla comunità scolastica, non dai singoli“
Certo l’esito del test non farà media e quindi non entrerà nella valutazione dello studente. Ma bisognerà comunque farli. E non è poco, se si pensa che non saranno invece elemento necessario all’ammissione i Pcto, i Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento, l’ex alternanza scuola-lavoro che ha fatto tanto discutere dopo la morte, nel 2022, di tre giovani (due però iscritti ai centri di formazione professionale gestiti dalle regioni e non a scuola statali) proprio mentre svolgevano esperienze di stage all’interno di un’azienda.
La decisione non era scontata, se non altro per i ripetuti annunci anti-Invalsi, in campagna elettorale, di esponenti non certo marginali di quello che è poi diventato il primo partito del Governo Meloni.
Lo stesso presidente Invalsi, Roberto Ricci, non ha nascosto, ai microfoni della Tecnica della Scuola, il pericolo proveniente da più di qualche politico che avrebbe voluto come minimo ridimensionare il ruolo dell’istituto di valutazione Invalsi.
Tra questi, uno dei più fervidi fautori della soppressione dell’Invalsi, con i milioni risparmiati da destinare agli stipendi dei docenti, è stata sicuramente la senatrice Carmela Bucalo, di Fratelli d’Italia.
Una posizione ribadita anche durante un’intervista rilasciata al nostro vice-direttore Reginaldo Palermo.
“Cancellando l’Invalsi – ci aveva detto Roberto Ricci qualche settimana fa – lo Stato italiano risparmierebbe solo una decina di milioni di euro: una cifra assolutamente trascurabile. Di contro, il sistema si ritroverebbe a non avere un sistema di dati che hanno tutti i Paesi europei, alla base anche delle azioni del Pnrr, ma soprattutto uno strumento utilissimo per chi deve prendere delle decisioni sulla scuola”.
Per il momento, l’Invalsi rimane in sella. Anzi, continua a mantenere salda la sua posizione. Resta da capire, però, se l’ostilità di certi politici al sistema standardizzato di verifica della qualità delle competenze apprese sia finita. O appena iniziata.
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