“Mi chiedo come si fa fare un esame in quelle condizioni”… è il mio primo commento, leggendo della studentessa bocciata all’esame orale di maturità in una scuola di Trento.
Dopo aver vinto un ricorso per l’ammissione, in seguito a un giudizio finale di scrutinio con cinque insufficienze. Diciamo, non credo sarebbe stato il caso unico di ammissione all’esame con quattro o cinque insufficienze.
Gli insegnanti, però, legittimamente, avevano deciso il contrario. Leggo in un commento che non erano stati attivati i percorsi di recupero per questa ragazza, così come prevede la normativa scolastica.
Quindi, i docenti sono in torto. L’errore è stato non aver permesso alla studentessa di recuperare: immagino ancora, non posso infatti conoscere di preciso la vicenda, che per questo motivo il TAR abbia deciso che gli esami andavano invece svolti.
Pare anche che abbia accumulato ritardi e assenze, ma questo non c’entra nulla con i voti delle discipline, semmai, con quello di condotta. Ma la condotta era positiva.
Meno positiva mi pare la condotta degli adulti: professori a sostegno dei colleghi, avvocati, cronisti, genitori, stipati nel corridoio di una scuola di Trento, in piena torrida estate, con tanto di clamore mediatico.
Precedentemente, la studentessa aveva passato brillantemente l’esame di ammissione all’Università. Un esame importante, per cui si presume si sarà preparata e impegnata.
Forse avrà anche trascurato un po’ le materie scolastiche, certo, non un bene e non una giustificazione.
Ma, anche questo sarà stato il suo pensiero quando si sarà seduta davanti a una commissione di undici insegnanti, anche loro, comprensibilmente, sotto pressione.
Perché gli esami di maturità sono un momento difficile per tutti, ragazzi e insegnanti.
Non sempre i nervi restano saldi e nemmeno la concentrazione. Soprattutto alle prove orali. Gli scritti, importanti, erano quindi andati bene.
Le famiglie erano “un po’ scocciate dal ritardo della pubblicazione dei voti in quanto hanno bisogno di conoscere il risultato complessivo per finalizzare l’iscrizione all’università dei propri figli” ha commentato Antonella Finotti, rappresentante dei genitori nel consiglio di classe.
Abbiamo agito correttamente in questo contesto? Non mi pare molto. Forse siamo tutti abituati a stare sotto i riflettori. Senza contare che il nostro fine è assicurare il successo formativo delle alunne e degli alunni. Il che non significa regalare nulla, ma capire che la vita e la scuola non sono dei film.
In ogni caso, questa vicenda non la conosciamo, apprendiamo solo quanto viene riportato, alle volte in modo contraddittorio, sui media. Solamente chi è nel consiglio di classe, legato dal segreto d’ufficio, ha idea della situazione: ma il grande clamore intorno, alla fine, danneggia tutti. L’immagine della scuola, dei docenti, degli studenti, dei genitori.
In un momento in cui invece un sostegno concreto servirebbe davvero.
Simonetta Lucchi
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