Noi insegnanti dell’Istituto d’istruzione superiore Marco Polo – Liceo Artistico quando, in febbraio, è cominciata l’emergenza per l’epidemia e sono state chiuse le scuole, abbiamo subito cercato di organizzare l’attività didattica nell’unica modalità rimasta, cioè a distanza. Malgrado le oggettive difficoltà che la brusca transizione ha comportato siamo riusciti a mantenere la presenza della scuola nella vita delle studentesse e degli studenti e anche a fare in modo che la preparazione per l’esame di Stato potesse continuare seppure in maniera che ha dovuto tenere conto della straordinarietà della situazione. In particolare, da quando è risultato chiaro che non si sarebbe potuti tornare a scuola entro il 18 maggio e quindi l’esame sarebbe stato ridotto ad un colloquio senza le consuete prove scritte, abbiamo focalizzato la preparazione su questo tipo di attività, pensandola, come era stato detto e come sembrerebbe ovvio, a distanza.
Adesso, invece, sembra che il Ministero si stia indirizzando verso l’espletazione della prova in presenza, e questo non ci trova d’accordo per le seguenti ragioni: in primo luogo bisogna chiedersi quanto l’esame in presenza possa fornire in più rispetto a quello a distanza. Secondo noi assai poco se non addirittura meno, basti immaginare cosa possa significare fare un esame con una mascherina che copre bocca e naso e con guanti di nitrile o di lattice davanti ad una commissione bardata nella stessa maniera e questo tra la fine di giugno e i primi di luglio, senza aria condizionata o con il rischio che l’aria condizionata possa essere un vettore di diffusione del virus: se vogliamo creare una situazione in cui gli studenti si trovino a loro agio forse questa assomiglia di più all’inizio di un film post apocalittico.
Poi c’è la questione della sicurezza di tutti coloro, personale e studenti, che devono recarsi presso le sedi scolastiche e rimanervi per il tempo necessario all’esame. Ci sembra ovvio che gli strumenti di protezione individuale, che tutti dovranno necessariamente indossare per accedere agli edifici, dovranno essere forniti dalle scuole e indossati al momento dell’ingresso, il che implica, per gli studenti e per il personale almeno la prima volta che accede all’edificio, che si dovranno togliere i propri guanti e le proprie mascherine con le quali ci si è recati alla sede dell’esame e lì si dovranno indossare quelli, speriamo a norma e sempre nuovi, messi a disposizione dall’istituzione scolastica: lasciamo all’immaginazione cosa questo possa significare, soprattutto se non c’è personale appositamente addestrato a gestire questa procedura. L’alternativa è che ognuno utilizzi i propri mezzi di protezione individuale, il che significa che tutti devono necessariamente fidarsi e, in particolare, deve fidarsi il “datore di lavoro” che è il responsabile della sicurezza all’interno degli edifici nei quali gli esami si svolgeranno: in tutti e due i casi ci sembra una situazione comunque critica, produttrice di rischi di contagio e di futuri contenziosi legali nel caso, del tutto possibile, che il contagio effettivamente ci fosse.
Inoltre c’è la questione dell’età di molti esaminatori che li fa rientrare nelle fasce a rischio per le quali, come dice a pag. 15 il “Documento tecnico sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione”, a cura dell’INAIL, potrebbe essere introdotta la “sorveglianza sanitaria eccezionale” che verrebbe effettuata sui lavoratori con età >55 anni o su lavoratori al di sotto di tale età ma che ritengano di rientrare, per condizioni patologiche, in questa condizione anche attraverso una visita a richiesta. In assenza di copertura immunitaria adeguata (utilizzando test sierologici di accertata validità), si dovrà valutare con attenzione la possibilità di esprimere un giudizio di “inidoneità temporanea” o limitazioni dell’idoneità per un periodo adeguato, con attenta rivalutazione alla scadenza dello stesso.”
Questo significherebbe dover sottoporre, entro il 17 giugno, tutti i commissari di esame (facendo una stima spannometrica: da un terzo a metà di ogni commissione) che rientrano in questa categoria, agli accertamenti diagnostici necessari alla loro sicurezza e, da non dimenticare, alla sicurezza delle persone a loro vicine. Fra l’altro gli studenti coinvolti nell’esame potrebbero essere positivi e asintomatici, come peraltro i commissari stessi: siamo sicuri che valga veramente la pena di mettere a contatto persone anche di fasce a rischio per effettuare un esame che si potrebbe effettuare nello stesso modo online, come peraltro stanno facendo tutte le università italiane e non solo?
Ultima questione: su più di mezzo milione di persone coinvolte in questo che sembra diventare un puro gioco simbolico è praticamente impossibile che nessuno abbia un qualche, banale, malessere. Nella normalità questo verrebbe risolto attraverso sostituzioni e/o spostamenti di date, mentre adesso, fino a quando non si potesse escludere un caso di covid-19, si provocherebbe il blocco dei lavori della commissione se non dell’intera sede. Ribadiamo: ne vale veramente la pena?
Noi pensiamo che, per questi motivi e per un ragionevole principio di precauzione, sarebbe opportuno continuare lungo la strada, già intrapresa peraltro, della conclusione dell’anno con gli esami di Stato online. L’esperienza della pandemia credo che abbia fatto capire che il tempo è un elemento fondamentale per la gestione degli effetti negativi: secondo noi evitare quello che riteniamo sia un rischio inutile tra giugno e luglio permetterebbe anche di ricominciare a settembre con maggiore tranquillità e sicurezza.
Mario Grossi e altri 46 colleghi
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