Una promozione con debito per gli studenti con qualche insufficienza, ma da recuperare a settembre. Comunque promossi.
Certo che dire oggi che saranno promossi, al di là della buona volontà di coinvolgere tutti sul valore della formazione culturale indipendentemente dal voto, non è stata una bella idea.
Si, diciamo sempre che non si studia per il voto.
Ma si sa poi come vanno queste cose.
Un certo utilitarismo matematistico perdura nella pratica didattica, lo sappiamo bene.
Resta una considerazione finale: quando vedo certe situazioni, nelle quali docenti ma anche studenti ma anche genitori si aggrappano al voto, per difendere la propria preparazione, allora mi viene da pensare che la scuola ha un po’ fallito.
Ha fallito nella comune persuasione che la formazione è sempre altro e oltre il matematismo della valutazione.
In queste settimane abbiamo tutti insistito sulla valutazione formativa, più che su quella sommativa.
Sapendo la problematicità, nelle attuali condizioni, di una valutazione il più possibile equa, oggettiva, capace di promuovere motivazione e cura culturale.
In molti si stanno affannando a dire che, mancando evidenti condizioni oggettive, si andrà incontro, in caso di giudizi negativi, ad infiniti ricorsi.
Io non avrei timore, nelle diverse occasioni di queste giornate, a dire apertamente anche a studenti e genitori il pericolo di ridurre la formazione a prassi matematistica ed utilitaristica. Per ribadire che la valutazione è mezzo, non fine.
Il fine è l’atto di intelligenza, che si fa passione, emozione, sensibilità, spirito di ricerca, apertura di senso sulle tante finestre del mondo: cosa sono in realtà gli indirizzi di studio, le singole materie?
Per questo vale sempre la pena insistere, tutti assieme, sul valore, sul significato di una valutazione che sia, nel mentre si valuta e si dialoga anche sugli esiti, autovalutazione, cioè consapevolezza, senza insistere troppo sul risultato, che va comunque certificato.
La valutazione, dunque, come stimolo alla autocoscienza.
Oggi più di ieri, visto il contesto.
Dobbiamo dunque liberarci dal legalismo, il quale non è mai sufficiente a se stesso, il quale deve essere compensato dal dialogo educativo, aperto, coinvolgente.
Solo così non lasceremo che il timore dei ricorsi infiniti, ancora una volta, non inquini la vita buona della scuola, in presenza o a distanza.