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Maturità: rito di passaggio o perdita di tempo e di denaro pubblico? Chi ha ragione?

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Ma insomma, chi ha ragione? Il professor Burioni, quando afferma che l’esame di maturità è soltanto un’amichevole conversazione, dato che alla fine sono tutti promossi, oppure il ministro Valditara, che intervistato in questi giorni da Sky TG24 ha dichiarato che l’esame di maturità è un passaggio importante, che segna l’ingresso verso la vita adulta, una fase decisiva di scelte molto importanti per il proprio futuro, dall’eventuale decisione di continuare gli studi universitari fino all’ingresso nel mondo del lavoro?

A sposare la prima tesi è Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale presidi – non il primo arrivato, dunque – che si chiede “Perché dobbiamo perdere tutto questo tempo e spendere anche questi soldi se poi dobbiamo dare agli studenti una valutazione che è la media degli anni passati?”.

Sostanzialmente d’accordo con il ministro è, al contrario la scrittrice Viola Ardone, che intervistata da La Stampa in occasione della maturità 2023, ha sottolineato l’importanza degli esami di Stato per gli studenti, come simbolo di passaggio.

Sono esami – così sosteneva Ardone che andrebbero affrontati con la stessa trepidazione di un saggio di fine anno, quando si è soli davanti alla porta e allora bisogna tirare, vada come vada. Una questione privata, insomma, di crescita personale. Una sfida a se stessi, che sarà comunque vinta.

La questione è complessa: già quasi dieci anni fa, il filosofo Umberto Galimberti, sul sito della Feltrinelli lamentava come gli Esami di Stato si fossero ridotti a uno stanco e inutile rito, dato che alla fine i candidati sono quasi tutti promossi per evitare ricorsi, fastidi, demotivazioni, abbandoni; sostenuti, in questo trend di progressivo lassismo, da quella ignorantissima “psicologia comprensiva” che, dello sviluppo psichico dell´adolescenza, non conosce neppure l´abbiccì.

Galimberti spingeva oltre l’analisi, arrivando ad affermare che è noto a tutti che i giovani hanno un bisogno enorme di verificare il proprio valore, le proprie capacità, la propria forza, il proprio coraggio, e se la scuola non gliene dà l´occasione, cercheranno altrove, negli stadi, nelle corse spericolate in macchina, nei percorsi della droga, in prove estreme al limite del suicidio, di praticare quei riti iniziatici di morte e rinascita, a cui la scuola si è colpevolmente sottratta. Una atto di accusa decisamente forte nei confronti della Scuola i cui esami finali, secondo il filosofo, sono la negazione di questo banco di prova. E quando a un giovane io ho tolto la possibilità di verificare il suo valore e quindi la sua identità, gli ho tolto un passaggio psicologico di fondamentale importanza, che nessuna gratuita promozione è in grado di compensare, perché a quella promozione è lo studente stesso a non dare alcun valore.

Diceva George Bernard Show: “Se tu hai una mela, e io ho una mela, e ce le scambiamo, allora tu ed io abbiamo sempre una mela ciascuno. Ma se tu hai un’idea, ed io ho un’idea, e ce le scambiamo, allora abbiamo entrambi due idee.” Perché non metterle assieme, dunque, queste due visioni degli Esami di Stato cercando la sintesi che le riassuma?

Se, ad esempio, condividiamo l’idea degli esami “rito di passaggio”, allora dovremmo renderci conto che in effetti, così come sono… Torniamo allora in epoca pre Sessantotto, quando i candidati erano da soli a confrontarsi con una commissione composta da soli membri esterni? Mah, le lancette della storia è sempre meglio che non tornino indietro; di certo, però, se vogliamo che gli esami di Stato siano un vero rito di passaggio, qualche rete di protezione andrebbe tolta.

Certo è che qualunque modifica si dovesse apportare, questa andrebbe discussa e condivisa con tutti gli attori del “rito”: dirigenti scolastici, docenti, alunni e famiglie. Perché senza condivisione, ogni riforma diventa imposizione.

Gabriele Ferrante

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