Luca Sofri, sul Post.it, racconta la sua prima volta, da studente liceale, con la lettura del “Mein Kampf” di Hitler, trovato per caso nelle biblioteca del nonno. Una vecchia edizione del 1938 della Bompiani. L’articolo nasce dopo la decisione di un quotidiano di venderlo come allegato insieme col giornale. Questo fatto ha suscitato molte critiche e levate di scudi, così come accadde in Germania qualche messe addietro, ma nella patria di Goethe e di K. Marx è stata pubblicata una edizione critica con oltre tremila note per rendere edotto il lettore sia delle farneticazioni e sia della pochezza culturale e storica dell’autore.
Comunque, scrive Sofri, cominciai a leggerlo. C’erano alcune cose interessanti per le mie curiosità storiche – ci si raccontano dei fatti, pur mediati dalla lettura esaltata dell’autore – ma più che altro enfasi ubriache, retoriche anacronistiche e un trionfo di vanità infantile che diventavano rapidamente ripetitive e noiose, e nella gran parte dei casi ridicole e quasi parodia di se stesse.
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Da allora confesso di prendere con grande leggerezza le cicliche agitazioni intorno alle eventuali e reali pubblicazione del famigerato “Mein Kampf”: naturalmente capisco e rispetto tutte le sensibilità che coinvolge, e non credo in effetti ci sia alcuna ragione per pubblicarlo – è una montagna di fesserie a cui sono preferibili almeno un altro migliaio di letture possibili – se non quella di sfruttare le sensibilità suddette e la costruzione del tabù per portare a casa quattro soldi o far parlare di sé.
Tuttavia una domanda ci viene sponatnea: e se il lbro venisse proposto a una scolaresca da parte di qualche docente “nostalgico” e “negazionista”?
Però penso anche che non ci siano rischi a pubblicarlo, c’è solo il disprezzo verso chi ne viene offeso, e questo è quello che dovrebbe trattenere da questi piccoli e meschini commerci.
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