La scuola e l’istruzione continuano a non far parte della vita di tanti giovani. E nemmeno giovanissimi. Perché nel decennio che va dal 2008 al 2017 la partecipazione dei bambini di 4 e 5 anni alla scuola dell’infanzia è addirittura diminuita in quasi tutte le province italiane: fanno eccezione Bolzano (+1,5%), Nuoro (+1,1%) e poche altre.
Mentre Caserta (89%) e Roma (84%) registrano le contrazioni maggiori (rispettivamente -7 e -10 punti percentuali) e nel 2017 si posizionano in fondo alla graduatoria; Roma si posiziona ultima. Al primo posto, nello stesso anno, si trova Sondrio (98%).
Una condizione che dovrebbe far riflettere, considerando che l’Unione Europea ha posto come obiettivo comune l’innalzamento progressivo della percentuale di bimbi che tra 0 e 6 anni, quindi anche attraverso i nidi, vengano affidati ad istituzioni specializzate nella crescita, nello sviluppo dell’autonomia e nella formazione.
Sulle spiegazioni del dato in calo, l’Istat non si espone. Tuttavia, è probabile che tra i motivi della riduzione di iscritti alla scuola dell’infanzia possano esserci le difficoltà delle famiglie a pagare le rette, laddove esistono solo istituti non statali oppure quelli pubblici o comunali sono saturi e non possono accettare altre iscrizioni.
I dati pubblicati vanno presi in grande considerazione, perché la fonte è l’Istat, che li ha divulgati attraverso l’aggiornamento annuale del sistema di indicatori del Benessere equo e sostenibile dei territori, riferiti alle province e alle città metropolitane italiane.
Però, c’è anche qualche buona notizia: se è vero che l’Italia mantiene il record europeo di Neet, è altrettanto vero che nell’ultimo periodo è stato incrementato il numero di studenti che nello stesso anno del diploma si iscrivono all’Università.
Anche in questo caso, però, con dei distinguo importanti: al Centro-Nord, insieme ad Abruzzo e Molise, quasi due diplomati su tre passano subito a frequentare un corso universitario: nel 2017, Isernia ha primeggiato, con 65 diplomati su 100 iscritti ad una Facoltà accademica con il diploma appena conseguito.
Nella maggior parte delle province del Sud, comprese Sardegna e Sicilia, il discorso si ribalta: a Siracusa, ultima, il tasso di iscritti all’Università scende al 38%, quindi con due neo-diplomati su tre che intraprendono strade alternative.
Ma ci sono anche altri dati che l’Istat ha quantificato per verificare il livello di benessere ed il progresso del Paese, riferiti alla province e alle città metropolitane italiane prendendo in esame 56 indicatori “complementari” al Pil che vanno dal benessere economico all’ambiente, dal lavoro alla sicurezza.
Il reddito medio procapite degli italiani è del +3,6% tra il 2014 e il 2016, in media 600 euro in più per residente, contemporaneamente si erode il patrimonio personale (case, e risparmi, attività finanziarie) da circa 156 mila euro del 2012 a circa 153 mila, cioè 2600 euro in meno per italiano in quattro anni. La variazione del reddito medio dipende da una crescita più contenuta nel Centro e nel Nord-Ovest (+2,9% e +3,2%) e più decisa nel Mezzogiorno e nel Nord-est (+3,8% e +3,6%).
Continua a crescere la speranza di vita per tutti, raggiungendo gli 82,7 anni con un guadagno medio di 2 anni rispetto al 2004, ma il gap tra uomini e donne diminuisce. Nel 2004 le donne vivevano 5,7 anni più degli uomini: una bambina che nasceva in quell’anno aveva una speranza di vita di 83,6 anni contro i 77,9 anni di un bambino. Nel 2017 il divario c’è sempre ma si è ridotto a 4,3 anni.
Anche se l’aspettativa di vita va migliorando dappertutto, anche in questo ambito esistono differenze tra nord e sud: tra le città metropolitane l’ultima è Napoli con 80,7 anni e la prima è Firenze con 84 anni.
Pur essendo un fenomeno che riguarda tutta l’Italia, il Nord si aggiudica “la maglia nera” di consumo del suolo, con cinque province (Verona, Vicenza, Venezia, Treviso e Bolzano) che in un solo anno, dal 2016 al 2017, hanno perso ciascuna tra i 200 e i 300 ettari di suolo naturale.
Il maggiore contributo è in assoluto quello della Lombardia, con il 13,4% e una perdita nell’ultimo anno di oltre 3mila chilometri quadrati (2mila quelli persi in Veneto).
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