Aumenti stipendiali e percorsi dedicati ai precari. All’alba di mercoledì 24 è arrivata l’intesa tra governo e sindacati.
Sempre e solo progetti. Da settembre fino a maggio.
Lo sciopero del 17 maggio è scongiurato, ma i problemi della scuola rimangono. Come, ad esempio, quella dell’adozione sistematica e quasi ossessiva della progettualità.
Un tempo, come segnalano più lettori, esisteva una programmazione educativo-didattica seria e rigorosa: adesso, invece, assistiamo soltanto a una miriade di pagine di progetti con obiettivi e finalità che fanno venire il mal di testa.
Come possiamo definire il bravo docente? Colui che porta a termine tutte le richieste, compila per bene il registro elettronico? Oppure chi porta a termine pedissequamente le slide e le schede di valutazione e quant’altro?
Forse bisognerebbe fare un passo indietro e pensare che il bravo docente è chi si spende anima e corpo in classe, chi fa una buona didattica. Su questo hanno ragione i sindacati: perché non viene adeguatamente premiato chi lavora bene in aula e non solo chi fa progetti?
Probabilmente, in un’era in cui si è spinti fino alla progettualità esasperata, bisogna tornare alla vera didattica, quella che ha funzionato per più di 60 anni nella scuola italiana.
Attenzione, non significa avere nostalgia del passato o di metodi ormai vetusti. Non bisogna, però, cestinare quanto fatto fino agli anni ’90 perché ritenuto obsoleto.
Parliamoci chiaro: la scuola italiana è stata più volta sbeffeggiata e vilipesa, in alcuni casi, addirittura, ha perso i connotati della vera e propria formazione, per diventare solo una fabbrica di progetti senza anima.
I docenti, il più delle volte, navigano in un mare immerso di progetto che sottraggono tempo alla vera didattica e alla formazione del cittadino, futura classe dirigente.
La 107/2015 ha estremizzato la progettualità scolastica, ma obiettivo dei prossimi cinque anni di governo sarà quello di puntare su una buona scuola che porti avanti prioritariamente la didattica e la trasmissione del sapere, il vero obiettivo primario della scuola pubblica.
Il docente non deve perdersi tra registri elettronici non funzionanti, attacchi alla propria autorità da parte di alunni e genitori, ma deve spendere le proprie energie a trasmettere le proprie competenze, cioè conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche.
Non poterlo fare significa portare un sistema all’autodistruzione.
Le vere urgenze
Chi dovrà occuparsi della scuola nei prossimi anni dovrà aiutare la comunità educante a riscoprire il valore autentico della didattica, a trasmettere con passione il proprio sapere, senza per questo essere etichettato come missionario del sapere. Non crediamo, infatti, a un visione quasi mistica del maestro.
Ci accontentiamo di un maestro, di un professore, che creda nel proprio lavoro, che lo faccia onestamente e soprattutto sia libero di riprendere un alunno indisciplinato senza, per questo, essere attaccato dai genitori.
Più che progettualità, servono rispetto dei ruoli e tanta, tanta motivazione. Molti studenti, soprattutto alle scuole medie faticano a coniugare i verbi, hanno perfino difficoltà nella costruzione di un periodo articolo e non conoscono le regole elementari della grammatica, No, non stiamo estremizzando, non stiamo raccontando una realtà che non esiste. Basta soltanto farsi un giro nelle scuole, sedersi accanto ai professori che lavorano ogni giorno e toccare con la mano la dura realtà.
Perché continuare ad affossare la scuola con mille progetti invece che puntare sulle abilità linguistiche e matematiche?
Serve, dunque, una vera riforma strutturale della scuola per rafforzare le conoscenze e prepararsi al meglio alle sfide della società. Non bisogna perdere di vista la vera funzione della scuola, cioè quella educativa e formativa.
Probabilmente, in un’era in cui si è spinti fino alla progettualità esasperata, bisogna tornare alla vera didattica, quella che ha funzionato per più di 60 anni nella scuola italiana.
Attenzione, non significa avere nostalgia del passato o di metodi ormai vetusti. Non bisogna, però, cestinare quanto fatto fino agli anni ’90 perché ritenuto obsoleto.
Parliamoci chiaro: la scuola italiana è stata più volta sbeffeggiata e vilipesa, in alcuni casi, addirittura, ha perso i connotati della vera e propria formazione, per diventare solo una fabbrica di progetti senza anima. I docenti, il più delle volte, navigano in un mare immerso di progetto che sottraggono tempo alla vera didattica e alla formazione del cittadino, futura classe dirigente.
La 107/2015 ha estremizzato la progettualità scolastica, ma obiettivo dei prossimi cinque anni di governo sarà quello di puntare su una buona scuola che porti avanti prioritariamente la didattica e la trasmissione del sapere, il vero obiettivo primario della scuola pubblica.
Il docente non deve perdersi tra registri elettronici non funzionanti, attacchi alla propria autorità da parte di alunni e genitori, ma deve spendere le proprie energie a trasmettere le proprie competenze, cioè conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche. Non poterlo fare significa portare un sistema all’autodistruzione.
Serve una riforma strutturale della scuola
Serve, dunque, una vera riforma strutturale della scuola per rafforzare le conoscenze e prepararsi al meglio alle sfide della società. Non bisogna perdere di vista la vera funzione della scuola, cioè quella educativa e formativa.
I docenti hanno perso la bussola, stritolati dalla burocrazia e dai dettami dei dirigenti scolastici da una parte, proni agli studenti e ai genitori dall’altro. Un’invasione di campo nella loro autorità, sempre più bistrattata.
I professori tornino a fare il loro mestiere: insegnare la grammatica, la matematica, le lingue straniere, invece di fare i project manager.
I docenti hanno perso la bussola, stritolati dalla burocrazia e dai dettami dei dirigenti scolastici da una parte, proni agli studenti e ai genitori dall’altro. Un’invasione di campo nella loro autorità, sempre più bistrattata.
I professori tornino a fare il loro mestiere: insegnare la grammatica, la matematica, le lingue straniere, invece di fare i project manager.