Tutti a parlare male della DAD e della DID, che non è scuola, che creerà un gap culturale e formativo incolmabile alle future classi sociali italiane.
Io che la pratico come docente e che la osservo anche come madre di un adolescente e una ragazza, di cui uno alle superiori e l’altra all’università, non sono così drastica e dico MENOMALE che la didattica a distanza esiste e viene istituzionalmente prevista, soprattutto dopo essere stata già sperimentata e programmata.
Con una generazione di nativi tecnologici che vivono con il telefonino addosso minuto per minuto, non avere il computer o il tablet non comporta certo essere esclusi da questa tipologia di comunicazione didattica che al contrario riflette l’epoca digitale in cui viviamo e che è da ritenersi, attraverso l’uso del cellulare, una delle più innovative avanguardie educative BYOD (bring your own device ).
Non mi sconvolgo certo, come molti professionisti ammettono, delle decisioni del governo di volere utilizzare la didattica a distanza per il controllo del contagio da Corona virus! Al contrario mi scandalizzo del fatto che non si sia fatto niente per implementarla e migliorare le condizioni di connettività in tutto il Paese in estate, non ci si è adoperati per rendere il diritto a internet un reale diritto umano e civile per tutti, contrattando con le agenzie preposte opportunità di diffusione gratis e ovunque della rete wifi.
La Didattica a Distanza o Integrata a quella in presenza, si basa su supporti tecnologici o meglio TOOLS che nel terzo millennio sono il nostro pane quotidiano.
Bisogna però capovolgere (flipped classroom approach ) il punto di vista e cambiare le strategie di apprendimento della classe . Realizzare a distanza la stessa identica lezione che si introduce in presenza non porta a risultati proficui. Secondo la mia opinione di insegnante che lavora sul campo, bisogna attivare laboratori comunicativi in presenza e sviluppo di abilità tecnologiche, di scrittura creativa, ma anche SOFT SKILLS in remoto.
La stessa valutazione non può essere la stessa e/o basarsi sugli stessi parametri del contatto diretto con gli studenti in presenza.
Non posso “interrogare” soprattutto quando lo studente leggerà su una finestra word del computer i contenuti richiesti in un modo tale che sembra quasi che ci guardi direttamente negli occhi, così come non ha senso richiedere un compito scritto, o traduzione che con un batter d’occhio lo stesso copierà da Google o la cui trattazione condividerà in una chat WhatsApp con tutti i compagni della classe, che però facendo gruppo finalmente collaboreranno utilizzando la metodologia del cooperative learning senza rendersene conto e sviluppando abilità sociali strategiche e quindi efficaci.
Anche i test devono viaggiare sugli stessi binari della lezione on line perseguendo gli stessi obiettivi e valutando, aggiungo finalmente, competenze molteplici e non solo la conoscenza di determinati argomenti. Ritengo che la didattica a distanza possa offrirci ogni giorno moltissime opportunità di sperimentazione didattica e di ricerca che sicuramente porteranno al cambiamento e al miglioramento del processo di apprendimento, che renderà più autonomo e consapevole lo studente: protagonista assoluto del suo sapere e della sua formazione.
Il docente sarà la sua guida, il suo sostegno, facilitatore e promotore del suo talento e della sua vocazione. Assegniamo dei TASK (compiti) ai nostri alunni da realizzare individualmente, in coppia, in gruppo, con tutta la classe, facciamoli scegliere, decidere il loro referente, abituiamoli alla DEMOCRAZIA: ci sorprenderanno con EFFETTI SPECIALI e soprattutto con la loro tecnologia, salda ormai nel loro DNA. Certo è pur vero che quanto detto può essere valido nelle secondarie di primo e secondo grado mentre nella scuola d’infanzia e alla primaria tutto si complica, ma il supporto dei genitori potrebbe colmare questo GAP, in fondo la famiglia è la prima e naturale agenzia educativa e per i bambini avere vicini i propri genitori è una condizione positiva e che li rende sicuri e li fa sentire amati.
I ragazzi con disabilità e disturbi dell’apprendimento dovrebbero invece essere supportati anche a casa dal personale specializzato per non rimanere indietro e perdere occasioni di miglioramento.
La promozione inoltre dello SMART WORKING come modalità di lavoro nell’ era del Covid 19 è una scelta di civiltà, che molti Paesi del nord Europa utilizzano o prediligono sempre, per molteplici motivi, non ultimo quello della sostenibilità e il rispetto dell’ambiente meno colpito da trasporti e smog che inquinano e affollano le grandi metropoli. Inoltre il lavoro da casa, non certo meno impegnativo, focalizza il suo obiettivo sui risultati e non sulle ore di lavoro utilizzate.
È vero infatti purtroppo che molti impiegati e professionisti vari timbrano regolarmente il loro cartellino o firmano la loro presenza al lavoro senza però lavorare o produrre effettivamente alcunché, mentre sarebbe più efficace oltre che efficiente guardare al progresso e agli effettivi GOAL raggiunti da tutti i lavoratori, in Smart o Hard Working, prima di erogare lo stipendio e incentivazioni varie.
L’ho già detto la parola chiave è capovolgere sia il nostro punto di vista che le nostre certezze per contribuire a creare un pensiero divergente, critico e per menti aperte abituate a lavorare in team condividendo decisioni e strategie e proiettate verso un futuro migliore per costruire, si spera, un mondo diverso.
Daniela La Mattina