Panino o penne al sugo? Toast o petto di pollo?
Quella del “diritto” delle famiglie di mandare a scuola i propri figli con cibo preparato a casa sta diventando una questione sempre più complessa che, in mancanza di indicazioni precise da parte dei due Ministeri competenti (Istruzione e Salute), rischia di trasformarsi in un vero e proprio scontro istituzionale.
Ad “alzare il tiro” ci aveva pensato qualche giorno fa l’Anci (Associazione nazionale dei Comuni italiani) che aveva sottolineato: “I Comuni sono tenuti ad offrire un servizio di supporto alla scuola, organizzando la refezione, mentre spetta alle amministrazioni scolastiche organizzare il tempo scuola”.
Come dire: noi Comuni dobbiamo fornire i pasti, ma a tutto il resto ci pensino altri.
A Torino l’Andis Piemonte (Associazione nazionale dirigenti scolastici) ha approvato un documento nel quale si denuncia la condizione di assoluta solitudine nella quale i ds della regione si trovano in questi giorni: dobbiamo gestire una questione complessa e delicata – sostiene l’associazione – senza alcun supporto del Ministero e della Regione.
In Emilia-Romagna accade persino di peggio, perchè l’assessore all’istruzione del Comune di Bologna parla senza mezzi termini di vera e propria ingerenza della magistratura in questioni squisitamente educative.
Dimenticando, però, di dire che normalmente i giudici si “ingeriscono” laddove la nromativa è carente o addirittura assente.
Il fatto è che la mensa scolastica è considerata attualemtne un servizio a domanda individuale e quindi ne fruisce chi lo richiede; al tempo stesso, però, la mensa si svolge in un orario che è considerato tempo scuola a tutti gli effetti.
Si tratta di una contraddizione che esiste da sempre e che, finora, è stata tenuta sotto controllo, ma che adesso rischia di diventare esplosiva a seguito delle sentenze dei giudici torinesi.
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