Si discute ancora di merito scuola. Il concetto di merito è stato “scomodato” dalla decisione di denominare il dicastero di Viale Trastevere “Ministero dell’Istruzione e del Merito“, con a capo Giuseppe Valditara. A dire la propria sulla questione sono stati in molti, da Dacia Maraini, a Paolo Crepet passando per Massimo Gramellini.
Ad alimentare il dibattito che si è acceso e che continua a tenere banco è stato, con un articolo a firma sua pubblicato su La Repubblica, Andrea Gavosto, presidente della Fondazione Agnelli. Quest’ultimo pensa che è pressoché inutile prendere l’una o l’altra posizione a riguardo.
“L’enfatica aggiunta del Merito nella denominazione del ministero dell’Istruzione ha dato vita a un dibattito fumoso, dove per alcuni eguaglianza e merito sono antitetici, mentre per altri — fra cui il nuovo ministro — scarsa severità e poca valorizzazione del merito sono diventate inopinatamente cause delle disuguaglianze della nostra scuola”, ha esordito Gavosto.
Bisognerebbe, invece, secondo quest’ultimo, investigare nelle condizioni strutturali del sistema scolastico e capire se è effettivamente possibile applicare il concetto di merito a scuola: “Pochi sono entrati nel ‘merito’ di che cosa fare per assicurare agli studenti italiani una preparazione almeno pari a quella dei coetanei europei. Oggi siamo lontani da questa condizione minima affinché ragazzi e ragazze possano far fruttare le loro capacità all’università, nel lavoro e nella società. Alla vigilia dell’esame di maturità, che supererà certamente, uno studente su due ha serie lacune nel ragionamento matematico; quasi altrettanti faticano nella comprensione di un testo. Negli indirizzi professionali a non raggiungere un livello accettabile sono quasi 8 su 10”, lamenta Gavosto.
Ecco da cosa bisognerebbe partire: “Per offrire davvero maggiore eguaglianza di opportunità e favorire il merito c’è bisogno di sciogliere alcuni nodi della nostra scuola, che oggi pregiudicano il futuro dei ragazzi: in particolare, l’orientamento degli studenti e la formazione dei docenti. Entrambi sono fra le riforme che l’Italia deve completare per ottenere i finanziamenti del Pnrr. Ci sono, però, ritardi e le soluzioni proposte dallo scorso Governo non convincono”.
“Un orientamento efficace è necessario per limitare il condizionamento dell’origine sociale. Oggi, ad esempio, quasi la metà di chi va al liceo dopo le medie proviene da famiglie di laureati, mentre per gli istituti professionali si scende al 6%. Difficilmente il figlio di un avvocato frequenterà una scuola professionale, anche se la preferisce allo studio accademico; ugualmente, il figlio di immigrati andrà a un professionale, anche se potrebbe frequentare un liceo con profitto”. L’orientamento, secondo Gavosto, è cruciale: serve proprio a provare a cambiare le sorti, che sembrano già scritte, degli studenti.
“Per rompere questo schema iniquo, gli studenti vanno non solo informati su che cosa viene dopo, ma aiutati a chiarire inclinazioni e interessi, grazie a un lavoro didattico di anni. E che deve iniziare alle medie, mentre fino a oggi — anche nel Pnrr — si è puntato solo sull’orientamento dopo il diploma, quando con ogni probabilità i giochi sono già fatti”, ha aggiunto.
Dall’altro lato bisognerebbe intervenire, secondo il presidente della Fondazione Agnelli, sulla preparazione dei docenti: “Non meno cruciale è la preparazione di chi insegna: solo docenti padroni della loro materia, ma anche di metodologie didattiche aggiornate, abituati a lavorare con classi e allievi di ogni genere, sono in grado di migliorare gli apprendimenti di tutti, inclusi i più fragili”.
“Anche qui il ritardo italiano è evidente. Con tensioni interne, il governo Draghi ha varato in estate la riforma della formazione e assunzione dei futuri docenti e della formazione di quelli già in servizio. Per questi ultimi ci sarà un aumento retributivo consistente, ma solo dopo ben nove anni di corsi di aggiornamento: a queste condizioni, i docenti non sembrano incentivati a correre in massa ad aggiornarsi. Per i nuovi insegnanti si prevede, invece, un percorso di abilitazione annuale in aggiunta alla laurea”
“Una svolta positiva e attesa, in pratica però messa in dubbio dall’assenza del decreto che definisce i contenuti dei corsi, arenatosi per il dissenso fra chi giustamente vuole standard di formazione severi e univoci, che includano per tutti competenze disciplinari, didattiche ed esperienza pratica, e il ministero dell’Università e i rettori, che vorrebbero lasciare libertà a ciascun ateneo su come formare i futuri insegnanti, rischiando enormi differenze sul territorio nazionale. Per dare sostanza al nuovo nome, il ministro dell’Istruzione e del Merito dovrà garantire che solo i candidati meritevoli possano accedere a una professione così importante come l’insegnamento”, ha puntualizzato Andrea Gavosto, citando l’istituzione della nuova figura del docente stabilmente incentivato e criticando le modalità di reclutamento degli insegnanti.
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