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Merito prof, il ‘Movimento cooperaz. educativa’ lo boccia: meglio puntare sulla loro formazione

La sperimentazione del cosiddetto ‘merito’ nel comparto scuola, con premi economici destinati docenti e istituti più virtuosi, continua a far discutere. All’interno dei collegi dei docenti, tanto da indurre il ministero dell’Istruzione ad allargare nell’area di istituti partecipanti anche le province di Milano e Cagliari, ma anche nell’ambito delle associazioni di categoria. Come la segreteria nazionale del `Movimento di cooperazione educativa’, che nello sviluppare un documento sul tema ha fortemente criticato l’operato del Miur sostenendo che non avrebbe dovuto “prestarsi a riduttive tecniche di classificazione (con metodi, stando al documento in parola, assai discutibili) quasi a separare in modo manicheo buoni e cattivi, nella ricerca di improbabili eccellenze dai contorni incerti. Piuttosto valorizziamo – ha auspicato l’associazione professionale, collegata alla Federation internationale de l’Ecole Moderne, il movimento delle scuole che si rifà all’attivismo e alla pedagogia popolare – , sosteniamo con politiche scolastiche costruttive e non punitive, i tanti, tantissimi insegnanti sufficientemente buoni che ogni giorno `fanno scuola’ e così fanno la scuola, nell’ordinaria fatica che procede nonostante i Brunetta e le Gelmini di turno”.
Il punto centrale della critica riguarda il fatto che la prestazione dell’insegnamento non produce necessariamente lo stesso tipo di apprendimento: vi sono delle variabili endogene, legate principalmente all’educazione familiare e al contesto sociale, che non possono essere trascurate. Secondo gli esperti pedagogisti, infatti, “non c’è una diretta e univoca correlazione; lo stesso vale per il rapporto tra l’erogazione complessiva del servizio, in termini di funzionalità e di efficacia, e la qualità degli esiti formativi. Da questo punto di vista, ci sembra che i percorsi sperimentali presentati nei due documenti Miur vadano nella direzione opposta rispetto a questa consapevolezza metodologica, che è anche orientamento per una corretta politica”.
Dopo aver specificato di apprezzare comunque “quei percorsi, costruiti nella condivisione, con gli insegnanti e il mondo della scuola e non sulla testa degli insegnanti e della scuola, che permettono di far crescere una cultura della valutazione”, la segreteria del Mce ritiene che “parlare di `merito’ e di `premio’ in una temperie sociale e culturale come quella che da mille segnali avvertiamo, con i venti di un neoindividualismo che spezza i vincoli di solidarietà, significa innescare anche nelle scuole processi di competizione sregolata”.
Per gli esperti di pedagogia sarebbe stato molto più utile convogliare i 55 milioni di euro destinati dal Miur al merito (inizialmente sarebbero dovuti essere oltre 300, ma poi la gran parte è servita ad evitare il blocco degli scatti di anzianità) alla formazione in servizio: che per il Mce dovrebbe diventare “obbligatoria e riconosciuta, con gli appositi dispositivi normativi e contrattuali, in quanto fattore decisivo di sviluppo professionale e di qualità complessiva del sistema”. Tuttavia “sulla formazione iniziale, come sulla formazione in servizio degli insegnanti – si legge ancora nel documento dell’associazione – non si dice mai nulla, e anche i documenti ministeriali di cui parliamo non ne fanno esplicito riferimento. Eppure, il mestiere di maestro si basa su una necessità di aggiornamento e riflessione sull’educare che è lo strumento principe per il miglioramento dell’azione educativa”.
Alessandro Giuliani

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