Categorie: Politica scolastica

Merito: valutazione del lavoro di un deputato o di un insegnante

Biecamente demagogico il titolo, lo ammetto. Però ci è stata servita su un piatto d’argento l’argomentazione. Tiro fuori il naso un attimo dall’apnea e dal silenzio e butto giù qualche riflessione, non organica, non meditata, ma così, come mi viene.

Sto esaminando il dossier de La Buona Scuola (spero di riuscire a formulare a breve le mie “controdeduzioni” su alcune parti che mi lasciano perplessa, pur apprezzandone le intenzioni) e son giunta alla fase “valutazione del merito”. 

Ma…A proposito di merito, visto che mi sembra la parte più confusa e superficiale di tutto il dossier, mi vien da dire, così, da passante un po’ meno distratto: chi controlla produttività, presenza e aggiornamento in servizio dei deputati italiani ad esempio? 

Analizziamo le presenze ad esempio, in modo bypartisan: BERSANI Pier Luigi (PD) dal 15/03/2013 presenze 26.10% (1447 su 5545) assenze 73.90% (4098 su 5545). 
Togliamoci l’assenza per malattia (curiosità: anche per i deputati l’assenza per malattia provoca una decurtazione dallo stipendio?), ma la produttività chi la verifica? 
GHEDINI Nicolò (PDL) presenze 18,79 %, assenze 81,21 %.
Ne ho indicati due noti, ma andando sul sito openpolitica si leggono non solo i dati relativi alle assenze, ma anche la produttività di ciascun deputato o senatore.

Quanti emendamenti, mozioni, disegni di legge promuove ogni singolo deputato? Visto che non mi pare siano tutti con la stessa produttività, in base la santo principio, diamo merito al merito, perché non differenziare anche loro?

VI sembra pura demagogia? E qua vi volevo, o un principio è valido, essendo valido sempre o non lo è, un principio valido.

Altra piccola frecciata demagogica: qualcuno lo dice che un magistrato in Italia ha più di 60gg di ferie l’anno? Il bistrattato docente ne ha 32 giorni, come tutti i dipendenti della PA, solo che son concentrati. 

Per quel che mi riguarda ho sempre preferito parlare di competenze, di capacità e di giustizia. Non di bilancini che tanto piacciono. La parola merito mi è sembrata negli ultimi anni assumere la funzione non di un principio, ma di un bell’accessorio, nulla di più. Da adattare a seconda dell’abito e della categoria però.

E’ evidente, anche tra i deputati, che ci son quelli che lavorano di più e quelli che han scambiato per “funzione deputato” lo stazionare mattino e sera nei salotti televisivi o il girar come trottole da duino a lampedusa. Ben venga, è “coltivare il territorio”, anche io giro come una trottola per musei, visto che insegno arte, ma non so se verrà valutato come credito, anche se è chiaro che aumenta la mia “produttività” di docente.
Ma la loro produttività politica, finito sto tour de france tra tv e sagra della donnola e fabbrica in mobilitazione e porto dismesso, in cosa si coagula? Tutto sto gran daffare che compie ciascun deputato poi convoglia sempre, in tutti i casi, in provvedimenti, emendamenti, mozioni?
Leggo le presenze in Parlamento e qualche domanda me la faccio, così come il numero di emendamenti, mozioni, leggi, in proprio, non a rimorchio: mica son tutti gli stessi, questi curricula parlamentari, eppure guadagnano tutti lo stesso stipendio.

E i magistrati? Chi controlla e “misura e valuta” coloro che lavorano e producono di più e coloro  che lavorano e producono di meno? O con quale criterio un processo è più “importante” di altri?
E gli altissimi burocrati? Che vabbè, è inutile sparare sulla croce rossa, ce l’abbiamo tutti con loro..eppure non mi pare che abbiano problemi con gli stipendi-ucci-ucci loro.

Io direi che se dobbiamo valutare il “merito”, tale affermazione di principio debba valer per tutti, o sbaglio?
E interrogarci in base a quali criteri, per poi convenire tutti quanti sulle mille incongruenze che sto leggendo in queste pagine. 

A me potrebbe pure star benissimo essere valutata da docente. Tanto, io proprio io, rientrerei in tutti i criteri dell’ottimo e valoroso eroe da medaglietta: criteri di tempo, di aggiornamento, di titoli, di livello dei miei alunni nella mia materia, di sperimentazione, di progettazione, di uscite, etc..etc…Facciamolo, anche se li ritengo ininfluenti se tutto ciò poi debba tradursi in 40 euro in più a me a fronte di un collega che zero faceva prima e oggi è autorizzato a fare – 20. 
Dimenticano in tanti che io e lui incidiamo entrambi sullo stesso studente. E che i genitori oggi non si lamentano di me, ma di lui. E che il punto non è nemmeno punirlo, ma motivarlo a lavorare meglio o a formarsi.
Il punto è che, con premialità di merito così congegnate, non cambio in meglio il bilancio complessivo del sistema, anzi, lo peggioro. Dati alla mano.

E a me interesserebbe di più motivar quel collega, tutti i colleghi, anche me, che comincio a demotivarmi, esattamente per migliorare complessivamente il sistema e fare molta, ma molta demagogia in meno. Lo preferirei piuttosto che avere 40 euro in più, ammazzandomi la salute e litigandomi l’osso con mezzo collegio docenti. E, particolare rilevante, arrivare in classe stramortita e nervosa, causa la disorganizzazione, questa sì, di sistema, che provvedimenti simili comportano.

Potremmo anche tralasciar la questione. Perché poi la singola scuola riuscirà ad attrezzarsi da se’ per far bene o male, nella collegialità e non nelle individualità. Ma torniamo nella frammentazione di offerta formativa da cui vogliamo uscire? 
A seconda del dirigente avremo al solito scuole ottime e scuole che sembrano gironi infernali? Dirigenti…non li salvi dando loro maggiore potere, ma mettendoli nelle condizioni di esercitare in modo chiaro la loro funzione e questo è un altro temone, ma una cosa per volta. 
Oggi quando va bene, quando c’è il dirigente illuminato, preparato, capace di gestire e di relazionarsi, oltre che con un bagaglio conoscitivo su un ampio ventaglio di competenze, allora va tutto bene. 
Ma putacaso dovesse arrivare a dirigere la mia scuola una preside di mia conoscenza che nemmeno un mese fa mi ha inviato una mail-lenzuolo senza nemmeno un punto, una virgola o un punto e virgola?

Spicola come sei formale. Io non l’ho letta quella mail. Alla quarta riga l’ho cestinata e poi ho svuotato il cestino. Immaginiamocela, questa povera donna, a dover mettere in piedi e a valutare il suo team o a giudicare tra una rosa di docenti, carriere e persone, per nominare il “mentor”. Immaginiamocela la capacità di pensiero e la lucidità di giudizio in una professionista che invia un papello di 30 pagine senza punteggiatura. Le ho segnalato la cosa, in modo pacato. Ovviamente risentita la sventurata rispose: “Però io sono una dirigente” Ricoveratemi per crisi di nervi. E ho citato un caso. 

Questo non è il dito alzato contro il dirigente, ma contro le discrezionalità. E contro le inefficienze a monte di un  sistema selettivo inadeguato che l’ha condotta a dirigere una scuola. Inefficienze che mi sembra stiano passando in predicato. 
“Valuteremo anche i dirigenti”.
Agite a monte no? Chi valuta i valutatori?

Regola numero uno dei sistemi. Per essere ben organizzati non possono reggersi sulle discrezionalità. Critico fortemente la questione del merito così come delineata nel dossier la Buona Scuola,  perché  debole da questo punto di vista: è basata in larga misura sulla discrezionalità. Peggio: sulla discrezionalità di una sola testa, massimo due o tre. 
Lancio solo un accenno alMentor. Siamo nel Castello di Harry Potter o cosa? Che razza di termine sarebbe?

A parte l’ironia va detto che, evidenze empiriche alla mano, la premialità legata alla valutazione dell’insegnamento, si è rivelata inefficace nel miglioramento dei sistemi d’istruzione. 

Questo non significa abbandonarsi alla “manica larga”, ma spostare l’azione o la messa in atto di provvedimenti restrittivi e di controllo in altro modo.
Meglio sarebbe mettere in efficienza l’organizzazione delle scuole, ed è questo uno dei punti maggiormente deboli delle nostre scuole, con una diversificazione e una definizione di funzioni in modo chiaro e strutturale, e sull’esercizio di quelle funzioni poi operare eventuali progressioni di carriera o di stipendio previa valutazione di curricula, esperienza, attività, etc…
Lo stanno verificando e ripetendo tutti quanti nel mondo.

Ma noi, no, noi che siam sempre più furbi (la furbizia italiana, altro temone da svolgere a parte), specie a parlar di cose che sconosciamo, e che siam noti per prendere sempre il peggio del resto del mondo, evitiamo saggiamente di convincerci, che queste idee siano scarti di magazzino.
Così, perché ad alcuni gli piace anche solo l’idea di far qualcosa perché gli gira il ghiribizzo e la ritiene una cosa adeguata. E gli piace l’idea di premiare il grande lavoratore e punire il fannullone. Diciamolo: il nodo è tutto là. In linea di principio il ragionamento filerebbe..tranne che a scuola non fila affatto. 
La scuola è molto ma molto più complessa, ragiona coi tempi lunghi e con le relazioni, non coi tempi brevi e le premiazioni.

Andrebbe raccontato, per tutti coloro che non lo sanno, che il criterio di valutazione dell’insegnamento è oggetto di liti scientifiche internazionali nell’ambito della ricerca educativa, per cui sono veramente all’avanguardia i nostri se son riusciti a trovar la chiave di valutazione dell’insegnamento. O meglio, se son riusciti a scovare in tale valutazione, relazioni positive sulla qualità dell’istruzione e non sulla demagogia politica o sociale. Tanto di cappello se noi riusciremo a farne una qualificazione di sistema e non una decisa dequalificazione di sistema, come si è verificato in sistemi che han ben altre risorse, esperienze in quegli ambiti e mezzi.

Se poi tale valutazione si lega alle premialità di stipendio l’unica evidenza empirica l’abbiamo col sistema statunitense, dove negli anni si è introdotta in modo sempre più marcato, nel primo mandato Bush e nel primo mandato Obama.
59 miliardi di dollari la prima riforma e quasi altrettanti la seconda.
Un successone: tutti gli indici sono impazziti, ne dico solo uno: la dispersione scolastica è oggi a quasi il 50%, giusto per riassumerne gli effetti nefasti in una botta sola. Race to the top si chiamava quel piano d’interventi. Infatti sono giunti al top. 
Per chi non lo sapesse da noi è al 18/20% e ci strappiamo le vesti.

Più adeguatamente è esatto dire che, se proprio dobbiamo valutare qualcosa, è meglio valutar le scuole o le collegialità, non i singoli insegnanti, come del resto ricorda la Fondazione Agnelli, nota fondazione extra-parlamentare, radicale e rivoluzionaria, lo dichiara espressamente in un libello anarchico che compara esattamente tutti i sistemi di valutazione. 

Le premialità non funzionano; si è osservato che nel lungo periodo si verifica che il gruppo di quelli che lavorano meglio e di più si assottiglia,per dinamiche sistemiche, e quelli che lavorano oggi di meno hanno un motivo in più per lavorar di meno, demotivati e aumentano di numero nel lungo periodo. 

Come banale considerazione di gestione delle risorse umane, lo comprenderebbe anche un bambino, l’obiettivo più efficace per migliorare i sistemi d’istruzione sarebbe quello di far lavorar meglio tutti, in partenza, magari aumentando le ore da trascorrere a scuola a lavorare oltre le lezioni, in modo uniforme per tutti,  anche poche, 3 o 4 o 5, piuttosto che agire solo premiando solo quelli che lavorano di più o punendo quelli che lavorano meno. E qua sento mormorare l’uditorio, se composto da docenti o sindacalisti. Mi spiace, la penso così e nessuno mi attacchi per i miei pensieri.
Sono stata anni a dire che non sono quella delle 18 ore, ce ne sto molte di più. Ci stiano tutti dunque, e questo sì che è merito. 5 ore alla settimana oltre le lezioni, tutti quanti, e vedete come i dirigenti potrebbero riorganizzare le funzioni in modo chiaro, senza liti e senza malumori.

Salvaguardando la libertà d’insegnamento, ci sono delle cose che TUTTI devono fare e che non fanno, tutti si devono aggiornare, tutti devono studiare, tutti devono insegnare sempre meglio, tutti hanno delle funzioni da svolgere nella scuola, non solo alcuni.
Passiamo dalla padella alla brace, a scapito del bilancio complessivo, anche in termini di risultati.

Altra banale considerazione: è necessario mutare completamente il percorso formativo e selettivo che ci porta in cattedra, è quello oggi che fa acqua da tutte le parti.

Per citare sempre la Finlandia: in quel paese è più facile diventare magistrato che insegnante. E ci chiediamo come fanno a non avere la valutazione in servizio? Che vuoi valutare? Che vuoi premiare? Sono superselezionati e superformati e continuano a formarsi sempre. 
E ci chiediamo come può un dirigente chiamare direttamente i supplenti? Perchè nella rosa di quelli che può chiamare ha la certezza di avere professionisti di massimo livello e la sua discrezionalità e a vantaggio non a svantaggio della scuola. 
Nella rosa della graduatoria provinciale oggi abbiamo in Italia la certezza di avere professionisti di massimo livello? No. E’ responsabilità loro? No.  
Con quale processo formativo accedo ai concorsi e con quale processo selettivo arrivo in classe?
Questo è il merito.
Cosa su cui nessuno si sta interrogando abbastanza. 
E, una volta che mister caccotz arriva in classe con un bel posto di ruolo, se non lo si immette in un sistema che ha già predisposta di default, strutturalmente e non discrezionalmente, la funzione permanente di studio, predisposta in termini di tempi e di spazio, e di qualità, pensate di aggiustare la frittata dandogli 20 euro in meno? Immagino che si sentirà con ciò motivato. Certo. Come no. 

In Finlandia (scusate se insisto sulla Finlandia, la prossima volta mi soffermerò sulla Colombia). Solo il 10% di coloro che intraprendono il percorso formativo poi lo diverranno: tanto dura e rigorosa è la strada e la selezione ferrea. 
Il 90% che rimane fuori non scende in piazza ad alzar le barricate. Con quel 10% la scuola ha un esercito di migliori, preparati, selezionati con prove, tirocini, e poi continuamente aggiornati in un rapporto strettissimo con la migliore ricerca educativa, spessissimo le scuole sono vicine alle università, in un rapporto di osmosi, e non col corso platone del cugino della dirigente. Cioè è un sistema non necessita nemmeno di valutazioni.

La docente che dice “ne ho di bisogno”, o  yesse o bisinissi, (e ne abbiamo nei collegi docenti) non è mica responsabile del suo essere arrivata a scuola così: è stata formata e selezionata con un procedimento evidentemente mediocre, su cui nessuno si azzarda a mettere le mani, come mediocre è la preparazione che le hanno trasmessa e mediocre sarà il suo insegnamento. 
In questo “doppio canale” che si apre davanti a noi, bravi da premiare e asini da punire, miss “ne ho di bisogno”, potrebbe essere per assurdo, ma nemmeno poi tanto, una di quelle docenti che si attiva per ore e ore a far quelle attività teatrali che tanto piacciono ad alcuni docenti. Avere un carattere amorevole e guadagnarsi il suo tot in più di stipendio e di merito con il plauso non solo del dirigente, ma anche dei colleghi perché “è una persona splendida”.
Come potrebbe serenamente, sempre miss “ne ho di bisogno”, insieme a mister “ci ho detto”, non far nulla di tutto ciò, entrare e uscire dalla classe, trasferire tanto quanto di ciò che sa ai suoi alunni, e anche di ciò che è, e prendersi quel po’ del minimo stipendio, lo stretto indispensabile e i suoi problemi può dimenticar. 
Nessuno stimolo a far di più, se costruiamo una scuola in cui chi è in basso non è chiamato o messo nelle condizioni di dover far di più, in modo strutturale non discrezionale.

Ma c’è anche il terzo canale, la docente che magari è un’attrice teatrale, o una giornalista seria, o un ricercatore, o una pittrice, o un bravo scrittore, ad esempio chessò, la bonanima di Gesualdo Bufalino, o Leonardo Sciascia, maestri elementari; costoro sarebbero rimasti fuori dal misurino del merito. 
Non ce li vedo ad aggirarsi tra i corridoi a preparar le programmazioni d’istituto, non per pigrizia, ma perchè la loro “funzione docente” era arricchita da ciò che erano e facevano fuori dalla scuola, in modo decisamente estraneo a miss “ne ho di bisogno”, ricchezza che comunque portavano con la loro semplice figura, dentro le classi. Accendendo fuochi e non riempendo pozzi. Che ne pensate?

Credo che gran parte del lavoro di riforma dovrebbe farsi nella formazione e nella selezione e nella immissione in ruolo dei docenti. Basterebbe quello, dal mio punto di vista. 
Certo non accende le folle e non sazia le pance dei demagoghi, ma questa è la prima cosa da affrontare. 
Come è arrivata in cattedra miss “ne ho di bisogno”? Per pura coincidenza? Per raccomandazione? Per inefficienza dei sistemi selettivi? Su entrambi i tre motivi si può incidere per cambiare la scuola. 
Che dico arrivata in classe?..in Finlandia non sarebbe arrivata nemmeno alla laurea.

Però invece che evocarla, studiamola la lezione finlandese. Con curiosità, con umiltà.
Ripeto: solo il 10% di coloro che studiano da docenti arrivano in cattedra col ruolo. L’altro 90% poi non staziona per anni a far le guerre contro le “ingiustizie e i ladri che non gli danno il ruolo che di diritto gli spetta perché in passato si era fatto così ed è una grave ingiustizia che oggi arrivo io e mi lasciate fuori!”.

Facciamoci qualche domanda poi sui modelli d’istruzione e sui sistemi sociali in cui insistono.
Paesi divisi, frammentati, privi di valori comuni e condivisi producono sistemi scolastici divisi, frammentati e privi di valori comuni. Quale che sia la riforma. Perché la scuola è un sottosistema sociale, non una navicella spaziale in orbita.
Ecco, osserviamoci con onestà: il modello di scuola che viene fuori dalle 136 pagine, con idee così frammentate, con tutto e il contrario di tutto, con il colpo al cerchio e poi alla botte, è esattamente lo specchio sottosistemico della confusione e della frammentazione del Paese. Un paese retto dalla diffidenza che ingenera l’abuso del controllo, dico l’abuso perché è solo nell’abuso che poi la risultante è il nessun controllo, dalla fazione, dall’invidia, dal giramento della frittata, dalla furbizia, dall’assenza di nessuna logica, ripeto, sistemica.

Sarebbe il caso di ricordare anche che la scuola è un ambito educativo, le logiche di sopra dovrebbe bandirle, non perché fan parte della narrazione dell’educazione, ma perché ci crede davvero e le rappresenta organizzandosi in modelli sistemici che riflettono i portati educativi. La scuola è un ambito che funziona quando è basato sull’ottimizzazione della relazione, della fiducia, della cooperazione, della costruzione comune con tutti in tasselli, non sulla farneticazione della competizione: dirigente/docente o docente/docente.
Tale competizione in nuce già c’è ed è esattamente quella che non funziona. 
Alzi la mano chi non ha assistito a scene degne delle cattiveria di una sceneggiatura di Lars von Triers, per i rancori, i dissapori che si generano intorno a certi meccanismi, in alcune contrattazioni d’istituto per aggiudicarsi le funzioni strumentali.
Piuttosto che eliminarli li vogliamo sublimare e potenziare tali meccanismi?

E allora cosa voglio, l’uniformità? Certo che no, voglio la serietà, voglio la professionalità anche nell’organizzazione scolastica, voglio stabilirla a monte con regole certe e chiare la differenziazione del lavoro, perché sarebbe meglio lavorare su una diversa organizzazione nel sistema scuola, fondata sulla diversificazione della carriera per funzioni, non per discrezione. Voglio introdurre la progressione di carriera come frutto di un combinato disposto di criteri e di percorsi certi e obiettivi. 
Sarebbe un sistema più professionale, più efficace…più, diciamolo finalmente: moderno.
Come dimostrano i sistemi migliori.

Allora sono contro la valutazione dei docenti? No, ma aspetto qualcuno che la sappia fare. Non esiste un sistema valutativo dei docenti al mondo efficace al tal punto da avere ricadute positive sulla qualità del sistema. Esistono buoni sistemi basati sulla valutazione e autovalutazione delle scuole.
Esistono poi le eccellenze, i fari nel cielo stellato delle scuole del mondo. E questi, vedi che combinazione, non hanno sistemi di valutazione. Insistono in modo massiccio sulla eccellenza della selezione e della formazione dei docenti e li fanno studiare, o meglio, ricercare TUTTI, non alcuni sì e alcuni no, aumentando lo stipendio ad alcuni sì ed altri no perché alcuni studiano ed altri no. Tutti devono studiare.
Ma organizzando il sistema in cui tutti lavorano e bene, in cui tutti studiano, senza stupirsene, in cui tutti sono in flusso diretto con le famiglie e il Paese: e si può fare. Non semplicemente aprendo le scuole.

Voglio spremermi le meningi per mettere in piedi un sistema guidato da intenti unitari, cooperativi, collaborativi. Non divisivi e competitivi.
Non per afflati ideologici, ma perché son di questo tipo le scuole che funzionano.

In fondo è il desiderio di creare una scuola unita, che rifletta il desiderio di avere un paese unito. O, viceversa, creare una scuola unita che cresca su basi diverse le nuove generazioni. 
E non a casa uso una parola a me cara: unità.
Di intenti, di valori.
Non uniformità, unità.

(Parentesi personale. Mi dico e dico ai miei colleghi che sarà sempre più difficile bandire odio, prepotenza, rancore e invidia nelle nostre classi, educare faticosamente i nostri allievi a bandirli, se saremo avviluppati in un vortice sistemico che genera per default invidia, rancore e prepotenza.
Personalmente non ho mai provato invidia o rancore nei confronti di colleghi che facevano più di me per la scuola. Sono scelte e per fortuna che ci siano, mi son sempre ripetuta. Mi è sempre interessato dedicare le mie energie alla classe dentro la mia scuola.  E alla politica, fuori dalla mia scuola, per la Scuola. E nemmeno ho mostrato rancore per docenti che arrancavano in classe. 
Non so, o forse sì, dovrei chiederlo a loro e questo mi conforta e mi ha sempre confortato, il lavorare insieme. Cercando di coordinarmi il più possibile con tutti, con un sorriso. E’ per questo che si diventa insegnanti. Anche per questo.
Coi colleghi, coi dirigenti, con gli alunni. Bandire l’invidia. O la furbizia. Ammalata di buonismo? Può darsi, ma anche di sincerità. Perchè non l’ho mai mandata a dire a nessuno, per sincerità, non per altro)

Invece quello che leggo tra le righe del dossier della “buona scuola” non è una “scuola buona”, è una scuola basata, involontariamente ma significativamente, sulla disunità, sulla disorganicità, sulla divisione. Perché errati sono i presupposti. Attenzione, in buona fede, ma presupposti errati. Disorganico è tutto.

Questo non significa, per l’argomento che sto trattando adesso, il merito (tralasciando i mille altri) giustificare chi non sa lavorare e ignorare chi sa lavorare.

Ma significa recuperare in modo certo il primo e potenziare il secondo, con regole, non con giudizi. 
Merito? Ho il sospetto che, in un Paese divenuto una Babele di significati e di interessi contrapposti, ciascuno intenda il merito modu proprio.

Per me una riforma che punta al merito fa in modo che arrivino a scuola i docenti migliori, per competenza, trasparenza e selezione dura.
Eppure oggi non siamo in grado di formarli nè di selezionarli. Il reclutamento dei docenti è la vera croce della scuola. 

Una riforma che punta al merito fa in modo che vi sia un profondo cambiamento nella scuola, non di facciata, ma mettendo in piedi sistemi organizzativi moderni, aggiornati, professionali e mutando i paradigmi, non i corollari. E per far questo si devono operare necessarie scelte di sistema, non di accessori.
Riforma della formazione dei docenti, riforma del reclutamento, riforma dei cicli, chiarezza degli obiettivi della scuola, diversificazioni delle carriere per funzioni. Cosa che nessuno vuol fare,  costa e sindacalmente non rende. 

Non è un cambiamento moderno ed efficace mettere in mano la bacchetta al preside. E’ ciò che già accade in forma minore. Crea caos e divisione. 

Questa proposta non cambia nulla, acuisce alcune debolezze. Non innova. Non affronta l’innovazione dal profondo delle questioni educative del terzo millennio. Le quali sono le grandi assenti nelle 136 pagine del dossier.

Ci sono alcune idee ma sono idee marginali, non di sistema, e quanto ai contenuti: cambia poco se, insieme all’arrivo della rete nelle scuole, o all’inglese, o alla storia dell’arte, dato comunque positivo se si realizza, cambia poco se non si affronta il problema dell’innovazione metodologica e di paradigma in relazione alla rete e al digitale. Scusi prof, che vuol dire?
Cioè, possiamo anche crescere degli smanettoni, ma altrove si stanno educando i padroni della rete e dei saperi in rete, non gli utenti o gli operai della rete. 
E se non si affrontano i problemi cognitivi connessi al massiccio uso in ambito didattico del digitale cambierà qualcosa sì, ma in peggio.

Esempio. Se in Finlandia, e che palle ancora loro, hanno una presenza massiccia nelle scuole di attività manuali, falegnamerie, laboratori, orti, non è per puro amore della tradizione, o dei bei tempi andati, no, è innovazione allo stato puro. La ricerca più avanzata ha provato che scrittura manuale e attività in cui si manipola con le mani attivano i processi cognitivi e accelerano l’apprendimento e la memoria. 
Il rischio connesso con l’uso massiccio del digitale in età infantile è il mancato sviluppo delle sinapsi. Se non è accompagnato con eguale se non maggiore attività manuale. 

Queste cose i valenti generatori automatici di belle idee le sanno? O continuano a ritenere la ricerca educativa, la sperimentazione, il monitoraggio, condotti fianco a fianco alle scuole, coi docenti, un optional e non la ragione reale per cui gli altri sistemi progrediscono?
SI chiama progresso ed è basato sulla scienza, da Galileo in poi, il progresso comporta ricerca e sperimentazione, con metodo, cioè altissima professionalità. Insomma l’abc che si trova nelle prime pagine di un libro scolastico di scienze anche alla scuola elementare. 
Il progresso si basa su metodo scientifico che scopre e poi la società applica. Noi cosa stiamo applicando? Vale anche per i sistemi d’istruzione. Bisogna affidarli a scienza, ricerca, sperimentazione e addetti, non solo alle belle proposte di ciascuno di noi. Così si progredisce.
 Cosa? Boh. Il merito. Ok, per avere merito bisognerebbe entrare nel merito, avendone merito. E non è un gioco di parole.

La folla si sa, urla Barabba e Barabba sia, Merito, Merito e merito sia. Che non coincide con valutazione. Accettiamo sto merito per i docenti quantificabile in premialità di stipendio in base a qualche criterio di produttività qualitativa o quantitativa che sia. 
I fallimenti li vivranno i vostri figli. Ahimè, non tanto i docenti. L’Italia fra 20 anni potrebbe essere come gli Stati Uniti di oggi. E te ne lamenti? E’ la prima potenza mondiale!
E’ il paese con le più profonde diseguaglianze. Nascono con la scuola? Sì, nascono con la scuola, 50% di dispersione scolastica, ripeto.

Merito. Ok. La parola è di moda, e mi starebbe pure bene.
Magari fosse accompagnata con la parola competenza, a tutti i livelli. Io l’attenzione a concentrarsi sulle competenze non lo sto vedendo. La cerco ma non la trovo. 
Vedo che le competenze da valutare son sempre quelle altrui, non le proprie. 
Sento parlare di innovazione didattica, cioè di cose di una delicatezza immane, persone che non sono mai entrate in una classe, ma nemmeno in un laboratorio di innovazione, o in un dipartimento universitario, e nemmeno, a buttarla terra terra, in una qualunque azienda di software per l’innovazione didattica. Ne parlano così, a casaccio, gli è piaciuta l’idea. “Modernità, cambiamento”. Apprendisti stregoni.
Merito. Boh.

Merito. Boh. Tutti parlano del merito o di valutazione nella scuola senza averne merito, cioè senza avere la vaga idea di cosa sia la valutazione nei sistemi d’istruzione, interna o esterna che sia. 

Concludiamo, so di combattere contro i mulini a vento. Posto che arrivi sto modello di valutazione basato sul merito, non vorrei però passare per la figlia della serva della Pubblica Amministrazione: magistrati, deputati, medici della mutua, senatori, chi ne valuta e differenzia lo stipendio in base al “merito”?

Nessuno mi dica che un deputato o un senatore vengano valutati dai cittadini perché poi possono non essere rieletti. 
Non è più detto che li eleggano i cittadini. Ma comunque non regge, intanto che stan là a non far nulla o a far poco e male o a far bene  mi pare che li paghiamo tutti allo stesso identico modo, e chi si indigna della mancata valorizzazione del povero deputato? Gli corrispondiamo un bel po’ di soldi comunque, sia ai Razzi che ad altri no? E lo stipendio loro è uguale identico per tutti: quelli che fanno e quelli che non fanno. 
A me non sta bene. Come dice la voce del popolo, mal comune mezzo gaudio. La faccio breve e torno alla domanda iniziale. Banale e demagogica quanto basta.

Per adeguarci a questa voglia propositiva tutta incentrata sul totem Merito, differenziamo in base al tempo impiegato, al cv, alla formazione permanente e alla produttività anche magistrati, deputati e altri ancora?
Ma, soprattutto i deputati e i senatori. 

E aggiungo anche che è molto più semplice valutare il lavoro di un deputato, rispetto al trovare i criteri di valutazione del’insegnamento.

Nella scuola certe scelte non funzionano.
Nulla di ideologico o sindacale o politico.
Semplicemente non funzionano, lo prova il dato che là dove si è fatto c’è il disastro. E non han nulla di meritorio, di rinnovamento o di modernizzazione quelle idee. Sono idee vecchie, fallite già da tempo. 

Tutti a cantar le lodi del sistema finlandese, ci fosse un cornuto che si mette là a capire che fanno; per essere quel che è, il sistema finlandese ha adottato provvedimenti di segno letteralmente opposto a quelle poche idee e confuse che vorremmo applicare adesso.

Tutti a dire che classifiche e numeri non sono fatti per la scuola democratica (non per idea romantica o geni ribelli, ma perchè così mostrano le evidenze empiriche in tanti paesi, son le scuole democratiche e basate sulla cooperazione, ma ad alto tasso di formazione e selezione dei docenti all’ingresso, quelle che stanno ottenendo i miglioramenti maggiori) e poi di fatto non si propone altro che un sistema che reca con se classifiche, numeri, pagelle, voti, premi, e che però imbarca in una sola botta tutti quanti con lo stesso identico metodo che ha portato in classe il meglio e il peggio possibile sfornato dai valenti atenei italiani.
Tutti in classe. Merito? 

Sistemi vecchi, proposte vecchie, che mostrano spietatamente una cosa: alcune di queste proposte son pensate da gente inesperta. E declinate alla meno peggio. Della scuola rivelano il ricordo, non la conoscenza, nè da operatore della scuola, ne’ meno che mai, in termini di complessità, da esperto di sistema. Annusano qualche proposta di modernità vista qua e là, ma non verificata, studiata, calata a casaccio senza verificare le ricadute nelle dinamiche didattiche e pedagogiche.

Non ho ancora visto organiche proposte innovative di progettualità didattica, di obiettivi pedagogici, di perseguimento innovativo e di analisi delle competenze da trasferire. 
Non ho letto dei nuovi paradigmi di trasmissione o meglio, di creazione della conoscenza, che si stan sperimentando anche in Italia in relazione agli ambienti digitali didattici. 
Non ho letto della necessaria consapevolezza con cui condurre tutto ciò. 
Dilettanti allo sbaraglio parlano di un “educatore digitale”. Ho prodotto la più grande risata, subito mutata in pianto, degli ultimi tre mesi. 
Immagino stavolta il nipotino della preside, neo laureato in ingegneria informatica, pronto a correre per fare l’educatore digitale senza avere mai masticato nemmeno come termine la parola ambiente didattico digitale. Per dirne una.

Altrove, sempre in Finlandia ad esempio, ogni innovazione è predisposta, sperimentata e monitorata dagli istituti di ricerca universitaria educativa, spesso di concerto coi docenti di una scuola, e spesso, son gli stessi docenti, che non han mai lasciato la ricerca, ad essere ricercatori e fulcro d’innovazione.

Qua, alcuni valenti promotori del merito, pensano che la ricerca educativa sia un libro stantio.
Non un laboratorio di alta innovazione.
Se no che ricerca è? C’è da dire che i corridoi delle facoltà di scienza della Formazione, pullulano di vecchissimi parrucconi che comunque non hanno manco una pubblicazione internazionale sui temi che oggi sarebbero utili come il pane. E pochi sono gli istituti di livello, anche per scarsità di fondi. 

Comunque, sia come sia, tra cinque, dieci anni anni poi ne riparleremo, quando ci sarà l’ennesima redde rationem e saremo ancora una volta a rimorchio, in ambito scolastico, di quelli che ci avran sorpassato.  

Qualcun’altro mi dirà: perché non lo dici a Renzi? Già fatto, il punto non è nemmeno dirlo a Renzi e convincerlo. Lo dirò spero meglio che in queste righe con  un documento di contributo alla discussione sulle linee guida.

Il punto è convincere quella metà e oltre del Paese che in genere urla Barabba e che non si convince. 
Perché di scuola poco ne sa e poco ricorda.
E poi ti ripete, col ditino alzato: la scuola non è solo degli insegnanti o dei “professoroni”, è del Paese.
Certo, come le malattie, le scuole son per tutti, ma le malattie le curano i medici. 
Non  le fattucchiere.
Per la scuola in particolare ce ne vorrebbe uno bravo.
Lo specialista, si diceva una volta. Oggi, agli amanti del merito, tutto piace, tranne lo specialista.

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