Della inadeguatezza del “sapere scolastico” parlano un po’ tutti, sempre più spesso, alle volte a sproposito e alle volte con qualche buona ragione.
Lo stesso ministro Valditara, nelle ultime ore, ha fatto riferimento, ad esempio, al fatto che l’insegnamento della matematica non risponde ai bisogni e agli interessi dei ragazzi ma neppure alle esigenze del contesto sociale.
Sempre più spesso si parla rinnovare metodi e contenuti dell’insegnamento ma poi – a conti fatti e per le più diverse ragioni – si resta fermi ai programmi consolidati da decenni.
La situazione, per la verità, non è nuova e, nel corso della storia si è già presentata più di una volta.
Il caso più clamoroso è legato a quanto avvenne negli Stati Uniti d’America nella seconda metà degli anni 50 e cioè più di 60 anni fa.
Erano anni molto particolari, il clima era quello della guerra fredda fra le due massime potenze mondiali, USA e URSS.
Nel 1957 i sovietici avevano messo in orbita il primo satellite artificiale, lo Sputnik; a novembre dello stesso anno lanciarono un satellite con un essere vivente a bordo (la famosa cagnolina Laika).
Negli Stati Uniti si sviluppò subito un ambio dibattito non solo politico ma anche culturale che ruotava anche su questo problema: se i sovietici riescono ad ottenere questi risultati è anche perché il loro sistema scolastico è migliore.
A questo punto il Governo americano deciso di avviare un grande programma di analisi del proprio sistema decidendo di “rifondare” dalla base metodi e contenuti di insegnamento. Vennero chiamati a collaborare studiosi e scienziati di tutte le discipline e allo psicologo Jerome Bruner venne assegnato il compito di coordinare il gruppo di lavoro.
Nel 1959, sotto la guida di Bruner che all’epoca aveva poco più di 40 anni, questi studiosi si riunirono a Woods Hole, un piccolo villaggio del Massachusetts sulle rive dell’Oceano Atlantico.
Le conclusioni a cui arrivano Bruner e gli scienziati da lui coordinati sono entrate a far parte della storia della pedagogia perché gli atti della Conferenza furono raccolti nel volume “Dopo Dewey. Il processo di apprendimento nelle due culture”.
I principi pedagogici di Dewey, che negli Stati Uniti stavano alla base dell’insegnamento, vennero messi in discussione. Bruner sostenne infatti la necessità di andare oltre l’attivismo di Dewey: non basta privilegiare gli interessi degli alunni, ma bisogna al contrario fare in modo che i ragazzi entrino nelle strutture epistemologiche delle discipline.
Le discipline scientifiche, ovviamente, erano quelle che più di altre avrebbero dovuto essere rimesse in discussione.
Dalla Conferenza di Woods Hole, molta acqua è passata sotto i ponti ma forse il metodo che venne usato 63 anni fa è tuttora valido: forse può essere utile e necessario mettere insieme le migliori “menti” del nostro Paese per cercare di rifondare dalle basi metodi e contenuti di insegnamento.
E, forse, bisognerebbe pensare di far coordinare i lavori da pedagogisti e psicologi, esattamente come avvenne più di 60 anni fa negli USA.
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