Una madre di un bambino con autismo che frequenta il secondo anno della scuola primaria nella bergamasca si è sfogata ai microfoni de La Repubblica. Quest’ultima ha svelato che è costretta a pagare delle terapiste per formare le maestre di suo figlio.
“Da quattro anni io e mio marito paghiamo di tasca nostra una terapista che va ogni settimana a scuola per spiegare ai docenti come interagire correttamente con nostro figlio, autistico. Ormai siamo abituati. Quest’anno però il percorso fatto finora è da buttare perché dall’oggi al domani ci è stata tolta l’insegnante di sostegno e chiunque arrivi a sostituirla, non si sa ancora chi e quando, dovrà ripartire da capo con la formazione”, queste le sue parole.
Il bambino segue il metodo Aba (Applied behavior analysis, cioè analisi comportamentale applicata), che per essere efficace e ridurre i comportamenti disfunzionali della persona autistica deve essere applicato in tutti gli ambiti della quotidianità, quindi anche a scuola: peccato però che gli insegnanti non abbiano la formazione necessaria.
“Mio figlio ha forti compromissioni comportamentali, può diventare violento, e quindi per gestirlo servono strategie particolari, dettate da una psicologa e poi messe in atto da una terapista – prosegue la donna – Per convincerlo a entrare in classe o anche solo a stare seduto al suo banco non basta chiedergli di farlo o magari mettere in atto i classici trucchetti psicologici che possono funzionare per gli altri bambini. L’anno scorso, per esempio, per farlo entrare a scuola bisognava mostrargli uno sticker a forma di animale da attaccare sul quaderno e darglielo poi come premio una volta entrato”.
Così sin da quando il piccolo ha iniziato l’asilo, a quattro anni, “noi genitori paghiamo la terapista perché entri settimanalmente a scuola e si confronti con le maestre, dando loro le indicazioni necessarie”.
Poi, come riporta anche il Giorno, è arrivato il fulmine a ciel sereno, un paio di settimane dopo la prima campanella: “Venerdì scorso la docente di sostegno ci ha detto che aveva appena saputo di aver vinto il concorso e di essere diventata docente di ruolo in una scuola di Como, dove si sarebbe dovuta presentare già il lunedì successivo – continua – È stata costretta ad andarsene in fretta e furia e credo che la sua vita sia stata sconvolta quanto la nostra, perché lei è di Bergamo. Ma il più provato è ovviamente il mio bambino”.
“Lunedì non voleva saperne di andare a scuola e quando mio marito l’ha accompagnato si rifiutava di entrare – racconta la madre – Ieri invece ha avuto un’altra crisi comportamentale e non voleva nemmeno vestirsi. Io riesco a gestirlo piuttosto bene perché ho fatto un corso per diventare a mia volta terapista Aba, ma la situazione è complicata”.
“In questo momento è rimasto solo l’educatore per 10 ore settimanali e poi c’è il maestro che però deve gestire tutta la classe, dove oltre a mio figlio ci sono altri due bambini disabili – conclude – Come si può pensare che ce la faccia? E la dirigenza scolastica sta aspettando che qualcuno dei presenti in graduatoria che vengono via via contattati accetti l’incarico. Mentre si attende, però, il diritto allo studio di mio figlio non è garantito”.
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