Attualità

Michela Murgia e la sua eredità che andrebbe letta e studiata nelle scuole: “vi amo, dannati pedanti”

Nella giornata di ieri, giovedì 10 agosto, è venuta a mancare una delle personalità più illuminanti della storia della letteratura italiana e non solo, Michela Murgia.

E nel suo percorso di vita tra i tanti temi affrontati di petto non poteva mancare quello sulla scuola. Aveva molto a cuore l’educazione degli studenti, la loro valutazione nonché la formazione degli insegnanti. Ricordiamo che per sei anni è stata insegnante di religione nei licei sardi. Ci piace far riferimento a un suo post del 2018 di inizio anno scolastico dedicato proprio agli studenti e alle studentesse:

“Ricomincia la scuola, unica culla di rivoluzione. Auguri ragazzi, auguri ragazze! Imparate il passato per difendere il futuro, progettate il presente che è già il vostro tempo, discutete tutto ciò che si può cambiare e proteggete quello che è stato cambiato per voi. Non dimenticate di imparare il congiuntivo, perché la rivoluzione non ha bisogno solo di tempo, ma anche di gente che lo sappia riconoscere. P.s. Ho modificato “declinare” con “riconoscere” per placare il flame grammaticale che stava sorgendo intorno al fatto che i verbi si coniugano e i nomi si declinano. Aggiungerei pure che le metafore si capiscono, ma diventerebbe un post grammarnazi e di nazi ne abbiamo già abbastanza in giro. Vi amo, dannati pedanti”.

Sul ruolo degli insegnanti, Michela Murgia aveva le idee chiare: “Quel che ti permette di essere chiamato maestro non è il modo unico e irripetibile in cui la tua individualità può fare la differenza, ma è quello che hai appreso: numericamente misurato, istituzionalmente certificato e sindacalmente difeso. A chi esce dall’esame di maturità si chiede cosa ha studiato e non con chi lo ha fatto, perché nel nostro sistema formativo chi insegna conta sempre molto meno di cosa viene insegnato, come se le due cose potessero essere scisse. L’obiettivo non è l’acquisizione di un titolo di studio, di un’abilitazione o di un sapere spendibile, ma la crescita umana di quella singola persona e specificamente di quella. E aggiunge – Insegnare non vuol dire accudire, con tutto quello che in Italia significa in termini di avvilimento del ruolo, insignificanza della retribuzione e diminuzione del prestigio sociale”.

Sulle autrici che mancano nei programmi scolastici, in un’intervista di qualche anno fa ha affermato: “I primi autori assenti sono le donne: nel canone non ci sono. Questo è un tema di cui ci siamo occupate in molte, ma non in molti: la sottorappresentazione del pensiero delle donne nel canone non sembra essere un problema di completezza del canone, ma delle donne stesse. Nella mia antologia scolastica l’unica donna era Grazia Deledda, la sola che non si potesse ignorare a causa del Nobel. L’altro aspetto non riguarda tanto gli autori, quanto il dover far uscire le Lettere dalla griglia di valutazione funzionale/disfunzionale che oggi riassumiamo sotto l’idea di “competenza”. Le lauree umanistiche tecnicamente non sono funzionali proprio perché non danno competenze; ma “solo” strumenti di organizzazione del pensiero, sguardo e visione complessa, apertura mentale per progettare il non ancora progettato. Il continuo disinvestimento sulle facoltà umanistiche nasconde l’idea che tutto ciò che non dia funzionalità diretta non serva alla costruzione dell’individuo e del cittadino. Nel nuovo orientamento che vorrebbe distinguere le università in maniera qualitativa, con lauree che valgono di più o che valgono di meno, è chiaro che il grosso dei finanziamenti in questa prospettiva andrà alle facoltà scientifiche, consolidando l’idea che l’insegnamento delle Lettere non sia di alcuna utilità sociale”.

E sulla valutazione degli studenti aveva dichiarato: “Nei paesi che funzionano secondo il nostro modello la lode a chi sa è data al prezzo del ludibrio altrui e questo scatena una competizione sociale da cui i paesi scandinavi cercano di tenersi lontani il più possibile, almeno formalmente. Il sistema di riconoscimento non è costruito in forma piramidale perché regge la convinzione che più in alto salirà la punta della piramide, più larga dovrà essere la base su cui si scaricherà il peso, con costi di disuguaglianza sociale infinitamente più alti del beneficio di ogni singola eccellenza. La stessa parola “eccellenza” viene guardata con sospetto, perché il più delle volte negli altri paesi viene usata per designare un’eccezione, il caso di qualcuno che ce l’ha fatta nonostante il sistema, mentre in Scandinavia lo sforzo educativo viene fatto verso il traguardo che tutti debbano potercela fare grazie al sistema”.

Michela Murgia è stata autrice di diversi libri, tra i quali: Il mondo deve sapere, God Save the queer. Catechismo femminista, Stai zitta e altre nove frasi che non vogliamo sentire più, Accabadora e tanti altri che meriterebbero un posto nei programmi scolastici, non solo per gli argomenti di spessore, ma anche per il modo in cui vengono spiegati, la chiarezza, la qualità per eccellenza che contraddistingueva la grande persona che è stata.

Sara Adorno

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