La morte della scrittrice Michela Murgia non sta passando inosservata su tutti i fronti. In queste ore viene molto ricordata negli ambiti in cui ha espresso il suo punto di vista. Per quanto riguarda la scuola, avevamo già riportato alcune sue considerazioni su studenti, valutazione e programmi scolastici.
Di seguito, un suo pensiero, tratto da un’intervista di qualche tempo fa, sui docenti e la considerazione annichilita di cui sono protagonisti in Italia: “Quel che ti permette di essere chiamato maestro non è il modo unico e irripetibile in cui la tua individualità può fare la differenza, ma è quello che hai appreso: numericamente misurato, istituzionalmente certificato e sindacalmente difeso. A chi esce dall’esame di maturità si chiede cosa ha studiato e non con chi lo ha fatto, perché nel nostro sistema formativo chi insegna conta sempre molto meno di cosa viene insegnato, come se le due cose potessero essere scisse. L’obiettivo non è l’acquisizione di un titolo di studio, di un’abilitazione o di un sapere spendibile, ma la crescita umana di quella singola persona e specificamente di quella. E aggiunge – Insegnare non vuol dire accudire, con tutto quello che in Italia significa in termini di avvilimento del ruolo, insignificanza della retribuzione e diminuzione del prestigio sociale”.
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