Solo negli Stati Uniti, pubblica Ansa, 11 milioni di bambini sono dipendenti dalle anfetamine. E’ una conseguenza della cura farmacologica dell’Adhd, cioè deficit dell’attenzione e iperattività, considerato da molti un’anormalità neurochimica geneticamente determinata, diagnosticata ogni anno a decine di milioni di persone, anche a bimbi di un anno.
Tuttavia la domanda che si pone Adhd – Rush Hour, il documentario di Stella Savino, nelle sale dal 26 giugno in 12 copie distribuito da Microcinema, è: si tratta di una vera malattia o il modo per “controllare” comportamenti tipici dell’infanzia?.
Il film, realizzato nel 2012 ha già trovato distribuzione in home video negli Usa con la Film Media Group e la Rai pare sia interessata a una futura messa in onda.
La regista raccoglie testimonianze dirette e pone a confronto le opinioni di esperti mondiali pro e contro le diagnosi e i metodi curativi dell’adhd.
La percezione della malattia ”è altissima nei Paesi anglosassoni (negli Usa è diagnosticata all’11% dei bambini) dove il sistema scolastico è basato sulla competizione, e scende in maniera eclatante nei Paesi mediterranei (in Italia è diagnosticata solo all’1% dei bambini) dove esiste ancora un’attenzione sociale molto forte alla famiglia”. Il primo obiettivo del film ”non era denunciare le case farmaceutiche ma far capire come sia difficile percepire questa problematica e come chi la affronti sia lasciato solo”.
Sono infatti le storie personali a colpire: come quella di Zache, bimbo americano di 10 anni, solare e vitale, a cui è stata diagnosticata L’Adhd al primo anno di asilo e al quale da allora la mamma Traceye dà, come prescritto, gli psicofarmaci (cura applicata dai medici all’80% dei casi). Trattamenti dai gravissimi effetti collaterali, ”come il rischio di suicidio, di infarto, alopecia e problemi epatici” spiega Stella Savino.
Per l’Italia, c’è la storia di Armando, 19enne, curato da 9 anni allo stesso modo dalla madre Stefania, che andava ad acquistare le medicine in Svizzera, quando ancora da noi non erano autorizzate.
La storia italiana ”che raccontiamo mostra un sommerso molto difficile da monitorare. In Italia infatti il Ministero ha creato un registro ufficiale adhd, e ci sono circa un novantina di centri regionali dove in teoria prima di arrivare alle terapia farmacologica bisogna provare tutte le terapie comportamentali. Ma c’è chi vuole risolvere subito il problema, e si procura i farmaci”. Tra gli esperti che hanno collaborato con la regista, c’è Stefano Canali, docente di storia della medicina e Bioetica alla Scuola Internazionale di Studi Superiori Avanzati (SISSA) di Trieste: ”L’adhd e il modo in cui viene diagnosticata assomiglia ad altre ‘sindromi’ apparse e scomparse, legate al periodo storico. E’ successo quando venivano reputate tali l’omosessualità o l’isteria”. Durante la preparazione del film, Stella Savino aveva parlato anche con il padre della moderna neuropsichiatria infantile, Giovanni Bollea, scomparso nel 2011: ”Mi aveva detto che il 90% dei casi, li aveva curati mandando i bambini in bici con il papà”
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