Attualità

Militari nelle scuole e studenti nelle caserme. Perché? Secondo quale modello educativo?

Scuola pubblica appaltata alle forze armate? O meglio: dopo l’ingresso massiccio delle aziende private nella vita delle scuole (col PCTO/Alternanza Scuola Lavoro), e dopo il dogma delle “competenze” (minimali e lavorative) più importanti delle conoscenze, la Scuola deve anche instillare nei giovani l’idea della guerra come possibile attività lavorativa?

Sembrerebbe di sì, a giudicare dal numero di interventi dei militari italiani qua e là nelle scuole, onde mostrare le “opportunità professionali” delle armi legittime (quelle dell’esercito) agli studenti delle scuole (anche in vista della ferma triennale in partenza quest’anno).

Dalla (povera) scuola pubblica alla (ricca) scuola militare

Si invitano i giovanissimi a frequentare le scuole militari per minorenni fin dai 16 anni, dopo il ginnasio o il biennio del liceo scientifico. A differenza delle altre scuole pubbliche, queste (come la Scuola militare “Teulié” di Milano) sono profumatamente finanziate, e offrono — promette il sito della Difesa — “studio, addestramento militare, tanto sport”, corsi intensivi d’inglese “con stage estivo in Inghilterra”, nonché “laboratori scientifici, biblioteche, aule di informatica, aule multimediali di lingue, palestre, saloni da ballo e diverse sale per il tempo libero”.

Il “salotto buono” dello Stato

Promettono, insomma, di far entrare il giovane nel “salotto buono” dello Stato, dove soldi e possibilità non sono scarsi come nei dicasteri “meno importanti” (quale quello “dell’istruzione e del merito”), inculcandogli “i valori essenziali del lavoro di squadra: la cooperazione, la competizione, la capacità di agire con e per i compagni, la comprensione delle esigenze altrui”. Quasi che questi valori potessero impararsi solo in scuole di guerra, dipinte come le uniche atte a trasmettere «le virtù che rendono le persone più forti dentro: il rispetto, la lealtà, la fiducia, il rigore etico», permettendo al fanciullo «di vincere ogni sfida».

Il mondo come giungla in cui homo homini lupus

«L’Italia ripudia la guerra» secondo la Costituzione; la Scuola, invece, da anni sdogana la guerra stessa come possibile mestiere, redditizio e onorevole. L’Istituto Geografico Militare si presenta sul proprio sito come dotato di “enorme potenziale educativo” per «i nostri più giovani clienti, i bambini delle scuole che ogni anno vengono visitarci nel corso di eventi a loro dedicati». Aspetto certamente vero, a parte un piccolo dettaglio: questo “potenziale educativo” non è rivolto — come esige l’articolo 4 della Dichiarazione ONU sul diritto alla pace (2016) — alla “educazione per la pace al fine di rafforzare fra tutti gli esseri umani lo spirito di tolleranza, dialogo, cooperazione e solidarietà”, ma finalizzato (perfino alle elementari) a una concezione della vita come lotta perenne contro altri esseri umani, colpevoli di credere agli stessi “valori” sotto vessilli di Stati “nemici”. “Valori” che ci hanno donato due guerre mondiali, minacciando da 80 anni la sopravvivenza della specie col terrore batteriologico, chimico, nucleare.

I docenti sono tenuti a insegnare i valori costituzionali della civile convivenza

Cosa c’entra tutto ciò coi valori cui i docenti italiani sono da sempre (o almeno dal varo della Costituzione repubblicana) chiamati a educare i giovani? Che c’entra con la parità di genere — sbandierata l’8 marzo da Valditara — il primitivo mito maschilista della virilità dominatrice, sotteso alla violenza bellica da almeno 5.000 anni? Cosa c’entra l’obbedienza cieca del militare (la stessa vantata da Kappler, Priebke e Eichmann) col pensiero critico e con la riflessione etica che il docente ha il dovere di accendere nel discente? Che ha da spartire l’aggressività (necessariamente coltivata nei militari) coi valori di civiltà insegnati nelle scuole?

Dalla scuola democratica e inclusiva alla disciplina gerarchica della caserma

Come si concilia il culto della gerarchia (necessaria alla disciplina militare) coi valori democratici che la Scuola insegna? Qual è la coerenza tra il propagandare la disciplina militare e il pretendere che i docenti non siano “severi” con gli alunni? E perché nell’ottobre scorso le scuole pisane sono state invitate al centro addestramento paracadutisti della brigata “Folgore” di Pisa per celebrare l’80° anniversario della battaglia di El Alamein, combattuta a fianco dell’alleato nazista, che intanto sterminava ebrei, nomadi, disabili, omosessuali, oppositori politici e “diversi” in tutta Europa?

Alternanza scuola/caserma: che tipo di persona si vuol plasmare?

Perché sempre più PCTO nelle caserme? Perché tanti Collegi dei Docenti accettano di trasferire la funzione docente a carabinieri e polizie su temi come l’educazione civica, la violenza sessuale, il bullismo, e persino l’ambientalismo? Tutto ciò è forse un invito subliminale a familiarizzare con ideologie securitarie vecchie di almeno 100 anni, basate su forza e violenza come unici antidoti ai problemi sociali? E con quali possibili esiti sullo sviluppo psichico dei giovani? Con quali ricadute sulla convivenza civile?

Già nel 2010 gli allora ministri della difesa La Russa e dell’istruzione Gelmini vararono un progetto per portare armi e cultura militare nelle scuole: chiamato “Allenati per la vita”, insegnava agli studenti “materie” come topografia, “armi e tiro”, “sopravvivenza in ambienti ostili”, e via guerreggiando. L’intenzione è ancora quella di preparare, come voleva il Duce, “otto milioni di baionette” (oltre ai dieci milioni d’armi clandestine brandite dalle mafie nostrane), proprio ora che siamo — non caso — sull’orlo di una terza guerra mondiale e termonucleare?

Alvaro Belardinelli

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