Egregio direttore
Nel suo articolo sul merito: “Si faccia chiarezza…” Lei sostiene che “la preoccupazione è che per premiare il merito si lascino indietro i più deboli”.
Ma non ha pensato alla preoccupazione opposta? E cioè che per non lasciare indietro i più deboli si trascurino i migliori, perdendo così l’occasione di coltivare cervelli fini, che un giorno potrebbero formare una valida classe dirigente, di cui il nostro Paese ha tanto bisogno?
Non ha pensato che appiattendo e livellando “sessantottescamente” verso il basso si impedisce ai migliori di imparare di più e di eccellere? Così facendo si creerebbe una sorta di esclusione al contrario, perché questi alunni particolarmente “gifted” si sentirebbero sviliti e devalorizzati, svalorati e quindi – non vedendo sufficientemente apprezzate e riconosciute le loro qualità superiori – si demoralizzerebbero, perdendo motivazione ed entusiasmo.
Non avverte questo pericolo?
Daniele Orla
Grazie prima di tutto per avermi scritto: il confronto è sempre positivo e motivo di crescita.
A proposito della sua posizione sul merito, che rispetto, credo che la scuola pubblica debba salvaguardare tutti gli alunni, nessuno escluso. I meritevoli, certamente, vanno premiati con valutazioni maggiori, che poi in linea teorica dovrebbero anche favorire uno spazio adeguato nella società quando diventeranno adulti. Ma perché lasciare indietro gli altri, che sono (purtroppo) la stragrande maggioranza? Ma soprattutto: se la scuola deve avere attenzioni per tutti, è giusto che “punisca” chi arranca, lasciandolo indietro. A mio parere, se le cose andassero così verrebbe meno la sua mission.
Anche i numeri parlano chiaro: abbiamo 350mila Dsa e probabilmente ancora più Bes, e ci sono 300mila alunni disabili. Praticamente, un alunno ogni sette è appurato che ha dei limiti o dei disturbi di apprendimento. Poi ci sono gli alunni non certificati, ma comunque con capacità sotto la media. E anche quelli “bravi” spesso non raggiungono comunque competenze adeguate: i dati Invalsi ci dicono che complessivamente sono almeno la metà dei nostri studenti ad arrivare al diploma senza possedere conoscenze minime in comprensione del testo, matematica e pure nell’inglese.
Come possiamo pensare di annoverare tutti questi giovani in formazione tra i “non meritevoli”? Per molti di loro, spesso con contesti familiari complessi, la scuola dovrebbe piuttosto costituire una punto di riferimento, un “porto sicuro”, attraverso il quale riscattarsi rispetto a quello che il caso gli ha negato. Come possiamo negargli questa possibilità, prevista, in modo inequivocabile, dall’articolo 34 della Costituzione?
Invece, secondo la logica del merito, dovremmo andare a salvaguardare chi può contare su un quoziente di intelligenza sopra la media oppure chi ha dietro una famiglia agiata. Proprio quelli che, in un modo o nell’altro, sono già destinati a primeggiare. A scuola e dopo.
Le confido, nel salutarla, che ho ancora una speranza: che il Governo Meloni abbia voluto includere nella dicitura del ministero dell’Istruzione la parola “merito” non riferendosi agli alunni. Certo, non credo che il merito (inteso come competizione) sia applicabile al personale della scuola (la quale non ha nulla a che vedere con un’azienda), ma almeno sarebbe un male minore.
Alessandro Giuliani
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